lunedì, luglio 02, 2007

CINEMA (ending..): La tigre e la neve+saluti


Al traguardo di un anno di attività e pubblicazioni da parte del nostro blog-sito di diversa attualità, il medesimo chiude per ragioni di varia natura, tra cui impegni sempre più pressanti per i due autori:
SimOne e Scion
Dunque, il nostro spirito digressivo verrà incanalato in quest'altro pezzo, una recensione (come avevamo iniziato) nemmeno troppo recente dell'ultimo film di Benigni. Grazie a chiunque ci abbia seguiti fin qui per la sua pazienza, speriamo vi siate divertiti e incuriositi insieme a noi....un saluto a tutti!! cheers
ciao
SIMULESCION3
La tigre e la neve
La poesia spesso si assume i canoni di un racconto a divulgazione etico-morale, ma non sempre è così, non sempre ha una finalità costruttiva. Perché la poesia tradotta in fiction è utile al narratore anche solo per raccontare una storia, una storia d’amore che si eleva dallo sfondo di un conflitto militare, che è sinonimo della “non-pace” nell’Iraq dei giorni nostri. La tigre e la neve, che nel film diventa l’immagine dell’infatuazione, dell’amore per la vita e della vita stessa donata per amore, è proprio questa rappresentazione, una fiaba modernissima sull’assurdità di quel luogo comune che è la guerra. Il poeta Attilio (“l’istrione” Benigni) affronta il suo viaggio surreale come spesso gli è accaduto in passato, avvolto da un’aurea di candore che gli permette di attraversare Bagdad praticamente illeso e quasi inconsapevole, proprio come sul tappeto volante delle Mille e una notte, insieme al fidato amico e collega Fuhad (un convincente Jean Reno). Egli intraprende il suo cammino “isterico” e grottescamente allucinante da Roma alla martoriata capitale irachena per salvare l’amata Vittoria (una Nicoletta Braschi che ben figurerebbe nel museo delle cere di Madame Tussaud), biografa di Fuhad e rimasta gravemente ferita nel crollo di un palazzo bombardato da non si sa bene chi. Benigni, contrariamente alle due opere precedenti a La Tigre e la neve, La vita è bella e Pinocchio, si sofferma su un registro linguistico sostanzialmente diverso, sceglie un tono sommesso, commovente, ma a tratti anche nevrotico e irriverente. Il film non viene mai abbandonato dall’animo comico e sbruffone che ha sempre accompagnato la carriera del nostro caratterista premio Oscar ed è intrisa d’immagini suggestive, ricostruite tra la Tunisia, Roma e la fabbrica abbandonata (ormai un set) di Papigno, vicino Terni. Ogni sequenza, i particolari provocatoriamente poco curati quali le fasi iniziali e altre scene, come il piano sequenza di chiusura, sono perfettamente riuscite ed inserite ad hoc. Per il fiume di emozioni che pervade la pellicola non basterebbe un montaggio della durata di quattro ore, perché quello che vuole trasmettere Roberto Benigni (l’impersonalità nei suoi confronti è sempre inadatta) è l’egoistica insensatezza del dover combattere, la cui giustificazione è farlo per la persona che si ama e la cui unica banale spiegazione é che “al principio sulla Terra tutto è iniziato senza l’uomo e senza l’uomo tutto finirà”. Certo la pellicola ha i suoi difetti, come un montaggio alquanto frenetico specie nelle progressioni dell’iperadrenalinico Attilio e ogni tanto, nonostante la seconda parte sia nettamente la migliore, come l’inverosimiglianza dei momenti sospesi tra il comico ed il tragico. Inoltre, l’opera è stata accusata di mancanza di etica verso un conflitto mai ben rappresentato. Le intenzioni di Benigni, invece, dovrebbero esser chiare nel momento in cui si rivolgono ad un pubblico che in ciò voglia credere, si riflette nel tentativo incosciente di salvare la donna dei suoi sogni (e non è una metafora), perché chiunque si trovi in mezzo al “caos guerrafondaio”, non pensa ad altro che ai propri interessi posti fino all’eccesso ed intesi come la salvaguardia della propria persona e di quelle a se care, anteposte a qualunque cosa circondi gli avvenimenti in questione. E non importa doversi schierare contro qualcuno, contro la Croce Rossa sempre bloccata o in ritardo, contro l’insicurezza delle forze armate statunitensi, contro gli iracheni pseudo-furbi e sempliciotti, il regista non vuole addossare la colpa a nessuno, se non a noi stessi. Qui il nemico è soltanto la guerra che distrugge ogni speranza di coesistenza, che annienta la bellezza dell’esistenza e dell’amore che da essa ne scaturisce. Per questo ha ragione il poeta Benigni quando afferma che “anche da morto sono sicuro che mi ricorderò di quanto mi piaceva la vita”. Non serve sapere altro per capire che in questo dovremmo essere d’accordo con lui.
SimOne

mercoledì, giugno 20, 2007

BASKET: Campo estivo alla Sam




Basket a 360 gradi: questa è la «Summer League 2007», organizzata dalla UISP Roma. Una manifestazione giunta alla sua IV edizione e che quest’anno lascia la vecchia location, il Testaccio, per stabilirsi presso lo storico impianto sportivo della Sam Basket Roma di viale Kant 305: proprio la stessa palestra dove è cresciuto Andrea Bargnani, l’ala che gioca oggi in NBA con i Toronto Raptors, nato però nella capitale il 26 ottobre 1985. Partita lo scorso 15 giugno, la «Summer League» 2007 della Uisp, supportata da altri sponsor importanti quali Algida e Lipton, andrà avanti sino al 25 giugno e, come detto, si disputerà sui campi da gioco della società diretta da Roberto Castellano, mentore e allenatore del giovane Andrea Bargnani: «Dopo quattro anni di grande successo - ha spiegato Andrea Novelli, presidente dell’Uisp Roma - quest’anno abbiamo deciso di spostarci da Testaccio a questo bellissimo impianto. Qui si respira basket per 360 giorni all’anno, e anche noi come Uisp, facciamo basket senza sosta con il puro intento di divertire ogni ragazzo che ama la pallacanestro, senza l’assillo dell’alta prestazione». Il padrone di casa Roberto Castellano ha voluto ricordare come su questi campi ha iniziato a giocare Andrea Bargnani: «Era un ragazzo come questi che giocano qui oggi, ma si vedeva già che era destinato a diventare un campione. Ringrazio l’Uisp con cui collaboriamo da anni e che ci permette di ospitare questa grande manifestazione e dare la possibilità a tutti di giocare a pallacanestro». L’organizzatore Onorio Laurenti, presidente della Lega basket Uisp Roma e Vincenzo Macchini, hanno sottolineato il ricco programma della manifestazione che parte con il consueto «Summer Basket 3 on 3», il torneo aperto a tutti che dalle 19,30 richiamerà gli appassionati romani della palla a spicchi di qualunque età. Confermato anche l’appuntamento con Andrea Niccolai, ex giocatore della nazionale e della Virtus Roma, e il suo «Free Camp» di giovedì 21 dalle 16. Fino a sabato 23 alle 18 l’Alaip (Associazione laziale allenatori e istruttori di pallacanestro) terrà il suo «Super training coach», rivolto ad allenatori federali e di enti di promozione, mentre il 25 giungo si terrà un convegno su «Basket e disabilità» che porterà alla luce le tante organizzazioni di disabili che utilizzano la pallacanestro come terapia: «Sarà una grande occasione di basket - spiega Vincenzo Macchini -. Partite, clinic, corsi per allenatori e approfondimenti importanti, come i due dibattiti che vedranno interventi da parte di molte società che operano nel basket giovanile qui a Roma. Sarà un vero e proprio villaggio del basket, dove la pallacanestro sarà protagonista al 100%».

simulescion3

giovedì, giugno 14, 2007

CINEMA: Professione doppiatore


Quanto contano in Italia le “Voci senza volto”? Viaggio all’interno delle sale d’incisione.. (sopra Luca Ward)
Roma – La saletta buia è illuminata solo dalla lampadina sullo scrittoio e dal chiarore dello schermo. Pian piano gli occhi si abituano,così l’ambiente intorno a noi prende forma,rivelandoci il luogo dove i doppiatori lavorano,il loro habitat naturale. Uno di loro sta rileggendo la parte che dovrà incidere,mentre l’assistente rivolge un cenno al di là del vetro insonorizzato al direttore del doppiaggio. Si può iniziare.
L’Italia è uno dei pochi paesi che può vantare una lunga e storica tradizione di doppiaggio,nonostante nei primi tempi,e si parla di diverse decadi fa,chi dava voce ai volti degli attori non era osannato,anzi trovava più critiche che assensi. Nata comunque per esigenze di scarsa alfabetizzazione nazionale,la figura del doppiatore fu interpretata agli esordi da pochi volenterosi,i soliti noti che ritroviamo sempre in ogni film dell’epoca. Successivamente,e per giusti meriti,questa professione è stata molto valorizzata,fino a giungere all’importanza che ha acquisito negli ultimi anni. Fare il doppiatore richiede grande sacrificio,un ferrea determinazione,l’essere “attore” fuori dagli schermi e senza un pubblico dinanzi. La questione,dunque,non è discorso di impegno lavorativo,ma solitamente nasce quando il pubblico si divide su una stessa opinione. Perché è ormai chiaro che da tempo c’è chi sostiene che una qualsivoglia pellicola cinematografica possa incrementare il proprio valore,se proiettata in lingua originale. Ci sono altri,invece,per i quali i sottotitoli creano disagi nella lettura e l’idea di privare i loro idoli della voce che li ha fatti “innamorare”,è vista come delitto sacrosanto. Altri ancora si astengono. Certo,se si pensa a voci storiche come quelle di Ferruccio Amendola o Giancarlo Giannini,i doppiatori di icone hollywoodiane quali Robert De Niro e Al Pacino,ma anche a certe “nuove” leve come Luca Ward,Roberto Pedicini,Alessandro Rossi, Tonino Accolla e via citando,si fa presto a schierarsi con i secondi. Ma se si assiste a Festival o Mostre del Cinema,come quella di Venezia,dove si rimane incantati di fronte alla bravura recitativa di alcuni attori,bisogna dare ragione anche ai primi. Sta a noi tutti scegliere ciò che si adatta maggiormente alle nostre esigenze. Gli addetti ai lavori si interrogano spesso su questo dibattito,anche se la soluzione resta ancora aperta. Sicuramente l’obiettivo,tutt’altro che utopico,dovrà essere almeno quello di concedere allo spettatore la possibilità di decidere,per conto proprio e senza imposizioni,verso quale delle due scelte optare. Per ora lo scenario,a meno di quelle eccezioni riassunte nelle sale che già offrono questa disponibilità,resta tale e immutato. Perciò,quando al termine di una proiezione scorrono i titoli di coda,soffermiamoci anche sui nomi di chi,dall’ombra,presta la sua voce al cinema.
SimOne

lunedì, maggio 28, 2007

MUSICA: "Eat me, drink me''


Direttamente dal blog del Menin, in arte BBS:
www.circosceno.blogspot.com

ecco la recensione dell'ultimo album dei Marlyn Manson, intitolato ''Eat me, drink me''.

Come avviene per ogni nuova uscita, Manson cambia e muta in qualcosa di diverso. Da Anticristo a rockstar androgina, da messia gotico a dandy postindustriale, Manson ha saputo sempre reinventarsi, a volte con risultati discutibili (chi ha detto The golden age of grotesque?), a volte con risultati eccelsi.
L' ultima trasformazione è la più dolorosa, Manson è diventato Brian Warner, mettendo in musica un anno trascorso all' inferno. ''Ad un certo punto dell’anno scorso mi sentivo immerso nel più profondo buco nero della depressione”, riferisce, “non potevo fare nulla, non riuscivo a far niente, ero senza speranza”. In quel periodo alla madre di Manson era stata diagnosticata una malattia mentale, e lui era “Intrappolato in uno dei cliché del rock’n’roll, circondato da persone che lavorano per me e che mi derubavano alle spalle. Non avevo interesse nella musica e il film sul quale avevo messo tutto il mio impegno – Phantasmagoria, basato sulla distorta vita di Lewis Carroll – era diventato un pesante fardello psicologico''.
Fino ad ora sono riuscito ad ascoltare quattro songs:
''If I was your vampire''- Lenta ed oppressiva ballata di sei minuti. L' arrangiamento è volutamente ridotto al minimo, basso,batteria,chitarre e un impercettibile tappeto di tastiere.
Manson, e questa è la vera novità, non urla il suo dolore, ma lo canta, centrando appieno l' obiettivo, far emozionare l' ascoltatore.
Per chi non l' avesse ancora ascoltata, la canzone ricorda Coma Black, contenuta in Holy Wood(In the shadow of the valley of death).
''Heart shaped glasses'' - Melodica, molto melodica e vagamente 80's con chitarre new wave, ed un chorus maledettamente catchy.
''Evidence'' - Rumori e poche note di piano elettrico ci introducono verso un potenziale classico di manson, caratterizzato da un ottima sezione ritmica, e da un lacerante assolo di chitarra.
Anche qui, come nelle altre canzoni ascoltate finora, il cantato di Manson è intenso, e non aggressivo.
''Mutilation is the most sincere form of flattery'' - Uno dei pochi momenti aggressivi dell' album, canzone a metà strada tra Dope Hat(dal primo album, portrait of an american family)
e The Dope Show(il ritornello). Anche qui un assolo di chitarra di Tim Skold impreziosisce la song.

Non avendo ancora ascoltato il cd per intero, si può solo dire che sicuramente ci sono le premesse per un ottimo lavoro.
simulescion3

giovedì, maggio 24, 2007

CINEMA: Il documentario di massa


“La nuova frontiera dell’entertainment"
Da millenni l’uomo cerca di rapportarsi con l’ambiente che lo circonda e che lo ha generato, scrutandolo ed osservandolo da ogni angolo e punto di vista, non sempre per il bene della comune esistenza. Uno degli strumenti utilizzati per l’analisi e la comprensione della natura è stata la ripresa della stessa, che ha permesso alle persone di conoscere le variazioni sul tema e approfondire la propria curiosità in maniera costruttiva e spesso coinvolgente. Il cinema come arte di vita si è avvicinato a tale campo di studio con un genere particolare, il Documentarismo, che negli ultimi anni ha seguito un filone innovativo, frequentemente rivolto ad un target stratificato e con una fruizione di ambito maggiore, dato l’alto tasso di specialisti che lavorano dietro le quinte per realizzarli e i nuovi trovati in fatto di tecnologie. Anni di ricerche, esperimenti e sviluppo ha portato l’umana conoscenza a poter fronteggiare la crescente richiesta del mostrare ad utilizzare il documentario come vero e proprio mezzo d’infotainment, informazione più intrattenimento. Questo ha aperto una reazione a catena, la voglia di conoscere la natura in tutti i suoi molteplici “singolari” aspetti ha reso necessario un lavoro intensivo su questo tipo di audiovisivo che permettesse allo spettatore d’immedesimarsi e vivere l’evento filmico come reale, più del reale. In questo senso si è passati dal più semplice Microcosmos, dei registi-scienziati francesi Nurisdany e Pèrennou (1996), quasi un documento che un documentario, il quale esplora e contempla vita e morte di quegli esseri minuscoli, gli insetti, con una visione poetica, oltre che informativa o divulgativa, fino al recente Profondo Blu, la storia naturale degli oceani raccontata attraverso le immagini incantevoli dei suoi abitanti e della loro vita sottomarina e girato da Alastair Fothergill e Andy Byatt. La ricerca di una forma per narrare le gesta di un mondo naturale che ci appartiene, ma di cui spesso non siamo a conoscenza ha portato i migliori documentaristi a confrontarsi con ogni specie animale, simbolo e definizione dell’ambiente che possiamo trovare a qualunque latitudine terrestre. Esempio l’ampante di questo esplorare è Il popolo migratore, docufilm del 2001 che, per la regia di Jacques Perrin, racconta la più spettacolare delle avventure, attraverso un mondo celeste dominato da correnti d'aria sulle quali venire trasportati, seguendo il mutare delle stagioni per scoprire il nostro pianeta come non l'abbiamo mai immaginato, né visto prima. Solitamente un prodotto destinato al grande schermo vuole avere respiro epico, perciò le grandi coproduzioni internazionali (maggiormente USA, Francia e Italia) si mettono alla prova realizzando opere che suscitino forti emozioni e che diventino anche dei successi al botteghino. L’ultimo realizzato, presentato nel nostro paese con il commento di Fiorello, è l’ultima fatica di Luc Jacquet, che con la sua equipe di cineasti ha impiegato diversi anni per realizzare La marcia dei Pinguini. Nell'oceano, il pinguino imperatore assomiglia più ad un delfino che ad un uccello. Sulla terraferma, trasformatosi in camminatore maldestro, l'uccello si trova ormai alla mercé del minimo ostacolo e cammina d'inverno attraverso centinaia di chilometri alla ricerca di cibo e per la sopravvivenza della propria specie. Il film racconta quest'epopea, che rappresenta un atto d’amore nei confronti dell’uomo verso tale mondo animale, che all’inizio dei tempi ci è appartenuto. Ciò che negli ultimi anni ha evidenziato meglio questo rapporto natura-ambiente-uomo è la rappresentazione di un universo che ha preso possesso delle nostre fantasie e di cui la platea ne pretende, per niente sazia, maggiori cognizioni, sin dall’inizio del creato. Sintesi estrema di questo volere è stata l’uscita nelle sale di Genesis (2004), un documentario girato dagli autori di Microcosmos, Claude Nuridsany e Marie Pérennou, che mescolando humour e serietà, innocenza e saggezza, ha utilizzato il linguaggio evocativo del mito e delle favole per raccontare la nascita dell'Universo e delle stelle, l'inizio infuocato del nostro pianeta e l'apparizione della vita sulla terra, un ambiente che, nonostante sia lacerato dal suo interno, risplende ogni notte per ciascuna delle sue creature. Il documentario divenuto film incarna proprio questa convinzione, rende l’osservazione della natura una storia vera, il racconto senza tempo dove potersi distrarre per ammirare le sue meraviglie e che approfitta del nostra sete di conoscenza per creare un legame emotivo tra l’uomo e tutto ciò con cui egli convive.
SimOne

sabato, maggio 19, 2007

One day at UCLA




ORE 10.00. E’ l’ora del break. Qui al corso di intensive english ognuno esce dalle aule freezer per riequilibrare la propria temperatura corporea. L’aria frizzante di L.A. ti riempie i polmoni, ricordando come a breve tornerai allo smog cittadino. Con il mio roommate bolognese ci dirigiamo verso l’internet point per le ultime news dall’Italia. Mentre ci organizziamo per la serata con gli amici californiani, arriva Vittorio affannato e ci sventola un foglietto sotto il naso. Lo guardiamo senza capire, finché non ci spiega che in palestra si sta allenando Baron Davis, a cui ha appena strappato una combo: autografo+foto. Con uno sguardo d’intesa ci precipitiamo verso il Wooden Center e passando accanto all’orso (Bruin) simbolo del college, notiamo l’assenza della nostra euforia nei passanti. Siamo alla Ucla e qui Baron è di casa. Entriamo nella Gym e lui e lì, come uno qualunque a fare due tiri (con una media impressionante, tra l’altro). Ci avviciniamo speranzosi allungandogli un quaderno che la star di Auckland firma distrattamente, mentre parla al cellulare. Ci guarda sorridente e mette fine ai nostri sogni d‘esser con lui immortalati: “No pictures, I’m working”. Senza replicare, allora ci allontaniamo, soddisfattissimi comunque.

ORE 16.00. Le lezioni sono terminate, usciamo di nuovo tutti, disordinatamente, ognuno con i propri pensieri in testa, io con la preziosa reliquia al sicuro in tasca. Insieme alle italianissime compagne di corso ci ritroviamo davanti alla Ballroom come sempre, indecisi sul programma pomeridiano e sulle possibilità che la città ci offre. Tirando a sorte si opta per visitare Downtown, il centro metropolitano, dove sorge maestosa la casa dei Lakers-Clippers. Così, zaino in spalla, torniamo verso i dormitori, passando accanto al Pauley Pavillion, che è il palazzetto dove gioca la squadra universitaria di basket. Mentre ognuno si prepara ecco che il compagno di stanza di Vittorio, l’ennesimo abitante del Belpaese come noi di stanza alla Ucla, ci ferma ponendoci un quesito: chi è l’uomo che oggi ha fotografato tra il Sunset e l’Hollywood boulevard, solo perché bersaglio di altrettanti flash? Guardo l’immagine digitale e pieno d’invidia lo riguardo dicendogli: Magic Johnson!!! L’attimo di stanchezza è passato, siamo pronti a correre di nuovo, ovunque. Facciamo per alzarci, lui ci blocca: “I’m sorry, era più di quattro ore fa”. Con la delusione dipinta in viso avvertiamo gli altri guys della mancata occasione, cercando esageratamente di farcene una ragione.

ORE 20.00. Arriviamo in serata di fronte alla mecca del derby losangelino, il secondo tempio cestistico per eccellenza dopo il Madison Square Garden di NY. Solo in quel momento, però, di fronte alla magnificenza molto neoarchitettonica che ci sovrasta, ci rendiamo conto che è domenica e lo Staples Center è chiuso. Demoralizzati dalla sfortuna ci rimane solo una riflessione spontanea: come sia facile qui negli USA incontrare una stella dello sport, se non proprio di persona almeno nella sua immagine bronzea. Accanto allo Staples, infatti, l’ex #34 gialloviola, il grande Magic, c’è ogni giorno di ogni settimana dell’anno.
SimOne

martedì, maggio 15, 2007

BASKET NBA: Dirk euroMVP



Fonte: da www.gazzetta.it


NEW YORK, 15 Maggio 2007 - Era solo questione di tempo, prima o poi il premio di Most Valuable Player della Nba doveva andare a un giocatore europeo. Forse però sarebbe stato meglio un contesto diverso per la prima volta sul gradino più alto del podio delle onorificenze individuali per un cestista del Vecchio Continente. Dirk Nowitzki, infatti, trionfa grazie a una regular season davvero spettacolare (24.6 punti, 8.9 rimbalzi, 3.4 assist di media e un eccellente 50% al tiro) e soprattutto per la squadra della quale è il leader, i Mavericks, capace di vincere ben 67 gare durante la stagione. Peccato però che adesso quei numeri davvero eccellenti non se li vuole ricordare proprio nessuno. Potere della clamorosa debacle subita nel primo turno contro i Warriors, magistralmente preparati alla sfida con la squadra texana dall’ex coach di Dallas Don Nelson. Proprio Nowitzki, negli Stati Uniti è considerato il principale responsabile, a torto o a ragione, dello scivolone della compagine testa di serie numero uno nella Western Conference, per cui in molti vedono troppo ombre e poche luci dietro al premio individuale più prestigioso della stagione. Ma se lo si analizza con un certo distacco il successo di Dirk Nowitzki è ineccepibile. "Ci sono due premi, quello di Mvp della regular season e quello di Mvp delle finali Nba – prova a razionalizzare il tecnico dei Mavericks Avery Johnson – non ci sono dubbi che Dirk abbia meritato il primo. La sua stagione regolare è stata assolutamente straordinaria". Bisogna poi considerare un’equazione che piace molti agli americani, quella che vuole premiare con l’Mvp il miglior giocatore della miglior squadra della Nba, e anche su questo punto la scelta di Nowitzki lascia pochi dubbi. Certo che vedere il primo giocatore europeo conquistare un premio che diventa poi così discusso non è il massimo per la pallacanestro del Vecchio Continente. Il tedesco dovrà convivere, nella prossima stagione, con le critiche che inevitabilmente gli pioveranno addosso al primo momento difficile e forse anche con la poco invidiabile etichetta dell’Mvp meno convincente delle ultime stagioni. "Non posso che essere molto orgoglioso di questo onore – dice il tedesco – però il ricordo della serie con Golden State è ancora fresco e mi fa molto male. Tra 20 anni sicuramente riguardando il libro dei record della Nba sarò felicissimo del successo ma adesso la ferita per lo scivolone nella postseason è ancora aperta". Un premio davvero agrodolce per Dirk Nowitzki il quale peraltro oltre a essere un Mvp sul parquet lo è anche fuori dal campo. Se i Mavs non avessero incrociato i Warriors al primo turno della postseason, probabilmente l’umore a Dallas oggi durante l’annuncio del primo Mvp nella storia della franchigia, sarebbe completamente diverso.
simulescion3

martedì, maggio 08, 2007

Nuovo album per i BonJovi




"Lost Highway", il nuovo album esce il prossimo 19 giugno

Il nuovo album dei Bon Jovi uscirà il prossimo 19 Giugno. Il primo singolo estratto dal nuovo lavoro sarà "(You want to) make a memory", nelle radio già da oggi 20 marzo. L'album successivo al multi-platino Have a nice day sarà quindi "Lost Highway", prodotto da Dann Huff (Keith Urban, Rascal Flatts) e John Shanks (già produttore di Have a nice day ma anche di Sheryl Crow, Melissa Etheridge, Chris Isaak), e in uscita dunque a giugno sotto l'etichetta della Island Records/Mercury Nashville. I Bon Jovi suoneranno dal vivo il primo singolo al 6th Annual CMT Awards (il prossimo 16 aprile a Nashville); su Fox American Idol (19 giugno) e alla NBC's Today Show Outdoor Plaza (sempre il 19 giugno). Anticipazioni del nuovo album in realtà sono già state date in pasto al pubblico grazie al film Wild Hogs, dove è inclusa "Lost Highway" e la theme-song per la stagione di football sulla ESPN "We Got It Goin'on".

simulescion3

lunedì, aprile 30, 2007

L'empatia del cinema


Il ruolo del male nella contemporaneità filmica

La contemporaneità cinematografica sta vivendo un momento di transizione. Al di là dei numerosi progetti che la filmografia occidentale considera in fase lavorativa, è innegabile che la crisi d’incassi dell’ultima stagione ha lasciato sbalorditi gli addetti ai lavori e l’Industria in generale. La mancanza d’idee e la pochezza dei contenuti sulla base di una apporto qualità-quantità ha disaffezionato il pubblico internazionale, diminuendo anche la semplice voglia di entrare in sala e pagare per quello che ritiene sempre meno uno spettacolo. Questo è dovuto anche all’espressione moderna dei molteplici generi cinematografici, in cui lo spettatore ripone l’interesse, che spesso viene disatteso da grandi e piccole major e riposto solo nelle cosiddette produzioni indipendenti. Negli ultimi anni ha preso piede la necessità di raccontare un certo tipo di tematica, la volontà di esporre agli occhi dell’opinione pubblica la rappresentazione del «male», inteso come riflesso condizionato delle nostre società ed il ruolo che è stato assunto appare quello dell’ espressione di una cinematografia condivisa, non eccessiva o fuorviante, bensì costruttiva anche nelle sue scene più spettacolari. Ciò che in questa sede si vuole venire a dimostrare è la concreta possibilità che le persone, specie in una fascia d’età in profondo mutamento come sono gli anni della post-adolescenza, traggano giovamento visivo e terminazione delle proprie tensioni sociali nell’immaginario di un cinema che pone, come detto, le sue radici in una cultura dell’inumanità intesa come oggetto parossistico e fumettistico della riflessione sociale. E ciò, che non deve essere necessariamente considerato un bene, è comunque un dato di fatto che s’impone all’attenzione socio-semiotica della contemporaneità. Questo va di pari passo con l’effettiva ammirazione che tali prodotti di celluloide assumono per coloro che li osservano da un punto di vista artistico e di estrema creatività. Si ricorre ad un tema preciso, nello specifico, al cinema pulp e alla rappresentazione del male, per allontanarli dalla vita comune. Come ammonimento alla strada sbagliata da non dovere percorrere. Letto in quest’analisi, ecco spiegato il motivo del successo planetario, che, a cavallo del nuovo millennio dominato da una fase di insicurezza e instabilità politica globale, porta il pubblico a ricercare nella violenza “mediatica” la risposta salvifica ai propri timori.
Un esempio di cinema pulp? Ricco di sangue, violenza ed ironia.
SimOne

mercoledì, aprile 25, 2007

LAMERICA


Digressioni da cartolina..



Quando sono sceso dall’aereo a Miami la prima cosa che ho fatto è stata….respirare.
Forse mi aspettavo di sentire il famoso profumo di libertà o chissà cos’altro, ed invece ho respirato solo i miasmi dei taxi che sfrecciavano verso downtown.
Per fortuna che quella è stata l’unica impressione negativa degli States.
Un viaggio unico, magico e spensierato come tutti-checchè se ne dica- vorrebbero fare.
Non oso dire irripetibile perché spero di tornarci il prima possibile, magari facendo un altro percorso e quindi un altro “viaggio”; l’America ti offre anche questo..è così grande che puoi viverci 7 vite e te ne avanzerebbe ancora per l’ottava.
Miami mi ha sorpreso per la vitalità, i colori e la rilassatezza molto poco americana e MOLTO cubana…la vita notturna, l’oceano, i macchinoni, le ville e quant’altro……una settimana vissuta PIENAMENTE .
L’unica cosa non piena era il portafogli.
A Denver, dato il carattere volutamente universitario che abbiamo improntato sulla 2a settimana, le spese sono state minori, ma non per questo il divertimento è andato a scemare!
Feste, barbecue, partite Nba..tutto quello che era americano di classe o cafonata l’ho fatto.
E sono ancora qui a pentirmi per il biglietto di ritorno.
Adoro l’Italia , ma la sensazione è che ora come ora l’America per un giovane che voglia provare a costruire un po’ più in libertà sia l’opzione migliore.
Ultima cosa in extremis zona Cesarini:
In Italia se t’azzardi a chiedere un’informazione per strada sei passabile di linciaggio…o tu stolto viandante, come osasti incrociare il tuo sguardo al mio chiedendo una tal futile informazione????
In America, cari bifolchi italiani, non solo ti danno l’informazione…ma ti accompagnano alla fermata giusta dell’autobus o chiamano il servizio associato col proprio cel!!! Il tutto col sorriso in bocca..
Hanno tantissime contraddizioni, ma non sono sicuro di essere migliore di loro…anzi.


Scion

lunedì, aprile 16, 2007

Imitando "La Cosa"


CAMBIANDO S’IMPARA...LA SOPRAVVIVENZA!!
Per sopravvivere siamo abituati ad imitare la realtà che ci circonda sin dalla nascita. Ci adattiamo a situazioni gestibili o meno, adeguandoci allo scorrer del tempo che cambia e muta le cose in profondità. Siamo comunque sempre padroni delle scelte e di una modificazione che riflette le nostre personalità, cosciente e decisa. Perché in fin dei conti cambiare significa crescere in una manifestazione nuova di esistenza, migliorare la propria individualità, uscire dai circoli viziosi e dalle stanze chiuse e stare meglio con sé stessi e nei confronti degli altri. Perdiamo tale potere quando di mezzo c’è una contaminazione, il cambiamento è fisico e avviene al nostro interno tramite un’influenza esterna, che di solito non è mai una sensazione positiva, ma l’insidiosa modificazione coatta.
Una mutazione che inizia lentamente e tende a sopraffare l’essere umano (ma non solo), imitandone le gesta e i comportamenti sociali, nonché ottenendone una propria viscerale razionalità con cui regola la propria sopravvivenza in ogni ambiente ostile. La Cosa rappresenta una variazione anomala nella sequenza delle basi in una molecola di DNA. E perciò, nonostante lo scontro tra civiltà in cui da sempre implode l’umana stirpe, non può che essere di natura extraterrestre. L’alieno di Carpenter è infatti una creatura ostile, che vive, prospera e cresce nutrendosi della mancanza di fiducia dell'uomo verso i suoi simili. Una visione radicalmente pessimista del contatto con una realtà ignota che delinea la poetica esistenzialista del regista: la razza umana è destinata a distruggersi perché l'uomo, anziché cooperare con i suoi simili, preferisce scontrarsi con essi, annientato da un egoismo che è radicato nella sua stessa natura. Cosa provoca questa collisione che realizza le fantasie più radicate come la minaccia alla propria “eterna” sicurezza?
Accade che ognuno guarda il proprio vicino con sospetto, perché forse egli non è quello che appare. Antipatie e tensioni preesistenti vengono amplificate e giustificate, non c'è nessuno
di cui ci si possa fidare, nessuna empatia possibile tra gli esseri umani.
Il terrore inizia a serpeggiare nella base antartica, la contaminazione è iniziata, ogni componente diffida dell’altro, perché la “cosa” è in grado di assimilare chiunque. La mutazione adattiva rientra nel concetto di Evoluzione di ciascuna specie, detta anche polimorfismo, fenomeno di apprendimento e successivo adattamento che di solito impiega millenni di mutazioni, prima di rendersi manifesto. Ma la “cosa” vuole soprattutto sopravvivere e lo farà velocizzando agli estremi questo processo, cambiando almeno una dozzina di forme e aspetti, in un continuo divenire, una metamorfosi della realtà sempre totalmente diversa dalla precedente. Umani vs alieni, una specie che vuole prevalere, o meglio sopravvivere all’altra, con tutti i mezzi a propria disposizione. La crisi di identificazione della società si va sgretolando, come nel film va emergendo sempre più la diffidenza e la totale estraneità verso il prossimo. Il livello di tensione, di smarrimento e di claustrofobia che viene raggiunto ha pochi eguali nella storia del cinema fantastico. Senza che lo spettatore se ne possa rendere conto, si spostano i punti di riferimento all’interno delle stesse angoscianti inquadrature, spiazzandoci l’istinto di visiva sopravvivenza: quella cosa innominabile può essere chiunque, può essere ovunque senza che nessuno se ne possa rendere conto, ciò che sembra essere non è. Attraverso il conflitto, attraverso l’opposizione è chiaro come solo (darwinianamente) stando ai cambiamenti che la perfezione naturale apporta al nostro organismo si cela l’unica possibilità dell’universale sopravvivenza dell’uomo. Imitando la cosa.
SimOne

giovedì, aprile 05, 2007

BASKET: Nuovo primato per Kobe


Kobe Bryant (#24), il fuoriclasse dei Lakers, è diventato il più giovane della storia della NBA a superare quota 19 mila punti in carriera strappando il primato a Michael Jordan. Il giocatore più rappresentativo della prima squadra di Los Angeles ha segnato 39 punti la scorsa notte contro Denver, diventando il più giovane cestista nella storia della NBA (a soli 28 anni e 223 giorni) a scollinare la fatidica soglia dei 19 mila in carriera. Il record precedente apparteneva a sua maestà Jordan, con 29 anni e 62 giorni. Ora lo aspetta il numero 20 e magari il meritato Mvp della stagione in corso...sempre che non arrivi il political correct della Lega a rovinare le attese.
simulescion3

venerdì, marzo 16, 2007

Digressioni....Inizia lo SPRING BREAK





COS' E' THE SPRING BREAK?


La Wikipedia inglese lo definisce come: "a week or more of recess during the spring term at school".


A noi dice poco o niente, specialmente se universitari. Ma quando ci riferiamo al break di primavera per i collegiali statunitensi, dunque il mondo studentesco made in USA, ecco che il discorso cambia radicalmente, le labbra pronte a distendersi in un sorriso sornione, l'occhio che ammicca, la testa che inizia a dondolarsi al ritmo di una musica immaginaria. Almeno per chi non lo vive o non lo ha già vissuto. Nel periodo che va da fine febbraio fino a metà aprile, esattamente varia di posto in posto, migliaia di studenti e studentesse si riversano sulle spiagge della Florida o del Messico, armati di lozione solare, birra a fiumi e la ferma intenzione di divertirsi/rockeggiare fino alla fine del mondo conosciuto. Tutto questo per un paio di settimane. Giusto il tempo per noi di simulescion di andarlo a verificare (a Miami) e poi tornare da voi, da bravi cronisti, a riportarvi attentamente notizie e curiosità su quello che ogni anno è considerato L'EVENTO. Dunque, pausa breve, poi torneremo ad affrontare i nostri temi preferiti. Magari col sorriso ebete di chi ha visto...
aurevoir
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domenica, marzo 11, 2007

CINEMA: TodeTì


Porsi di fronte ad un thriller spesso significa affrontare interpretazioni di carattere fortemente personale. Considerando che il prodotto in questione è un mediometraggio italiano alla cui realizzazione il sottoscritto ha preso parte (come assistente di produzione), il lavoro di recensore non appare agevole: una sfida insomma.


I mille volti di Roma confluiscono sempre in una visione romantica dell’urbe. E’ solo scavando nelle sue sordide viscere periferiche che si arriva a comprenderne il lato più oscuro e meschino. Partono con questo assunto i primi fotogrammi di Tode Tì, il primo film realizzato dall’esordiente Valerio Esposito (assistente alla regia di Fausto Brizzi, in Notte prima degli esami oggi). Dai titoli di testa si intende subito come la fotografia e la scelta delle immagini cerchi di distaccarsi dal prototipo del genere all’italiana, bucando la cortina dei grigi cittadini così diversi dai toni iperbolici delle fiction televisive. L’impatto con la contemporaneità appare il cardine su cui Esposito gioca le carte del suo film e, senza assolutamente citare paragoni fuori portata, nonostante i chiari rimandi ad I soliti sospetti, è chiaro come questo sia il punto di forza e il punto debole dell’intera sceneggiatura. Ispirato dal reale furto della statua del Santo Bambino dell’Ara Coeli avvenuto nel 1994, l’autore narra l’episodio di una banda di criminale assoldata dalle forze dell’ordine per ritrovarlo, in cambio della fedina penale pulita. Niente andrà secondo i piani. Considerando come non sia mai semplice affrontare con il dovuto estro un genere cinematografico inusuale nel panorama tricolore, la struttura di Tode Tì pecca di inventiva letteraria, nel senso che risulta a tratti involontariamente poco verosimile. Il film (28’) viaggia sulle onde ipnotiche della suspance finché l’iniziale idea dell’opera, da seducente muta in opaca, torcendosi su se stessa e aggiungendo confusione al montaggio finale. E’ proprio il ritmo, in sostanza, che tiene legato lo svolgimento della storia, la quale via via assume toni sempre più scuri e drammatici. Una seconda opera prima (n.a. Esposito ha già girato un corto), che lascia intravedere tutto il potenziale visivo e innovativo del giovane regista romano, nonché la sua cura minuziosa per i dettagli di scena, essendo stato sorretto da un cast di professionisti che hanno aggiunto quel valore umano amatoriale necessario ai fini del progetto. A fronte di una recitazione scadente e di uno script di basso livello, da cui derivano dialoghi al limite del farsesco che penalizzano Tode Tì oltre i suoi demeriti, il film ha comunque il pregio di attrarre l’interesse dello spettatore, calandolo nella tela del racconto. Insomma, un esordio noir convincente a metà, che comunque consegna all’integralistico mondo della cinematografia italiana un talento grezzo da poter sviluppare.
SimOne

martedì, marzo 06, 2007

MUSICA: L'Heineken JF si sposta a Venezia


Fonte_:
http://www.jugo.it/



In scena da giovedì 14 a domenica 17 giugno, l'Heineken Jammin' Festival avrà tra gli ospiti artisti del calibro di Iron Maiden (giovedì 14), Pearl Jam (venerdì 15), Aerosmith e Smashing Pumpkins (sabato 16) e Vasco Rossi in chiusura. Per il Blasco si tratta della quarta partecipazione all'evento, dopo quelle memorabili del 1998, 2001 e 2005. Il prezzo del biglietto è di 40 euro + diritti di prevendita per la singola giornata e di 140 euro + diritti di prevendita per l'abbonamento a tutti e quattro i giorni. Quattro giorni rock al Parco San Giuliano di Mestre, Venezia il 14, 15, 16 e 17 giugnoIn occasione dei 10 anni di Heineken Jammin’ Festival, Heineken Italia, che promuove il festival e Milano Concerti, che produce e organizza il festival, hanno ufficialmente comunicato che il raduno rock è stato spostato dalla storica location dell’Autodromo di Imola al Parco San Giuliano di Venezia, un’area di circa 700 ettari, e per la prima volta il festival avrà una durata di quattro giorni.
Di seguito il programma completo dell'Heineken Jammin' Festival 2007:

- Giovedi 14 giugno Headliner: IRON MAIDEN. Sul palco anche: Slayer, Stone Sour, Papa Roach, altri artisti di definire e il vincitore dell'Heineken Jammin' Festival Contest 2007

- Venerdi 15 giugno Headliner: Pearl Jam. Sul palco anche: Linkin Park, The Killers, My Chemical Romance, altri artisti di definire e il vincitore di Heineken Jammin' Festival Contest 2007

- Sabato 16 giugno Headliner: AEROSMITH - Smashing Pumpkins. Sul palco anche: Incubus, altri artisti di definire e il vincitore di Heineken Jammin' Festival Contest 2007

- Domenica 17 giugno Headliner: VASCO ROSSI. Sul palco anche: J-Ax , altri artisti di definire e il vincitore di Heineken Jammin' Festival Contest 2007.

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mercoledì, febbraio 28, 2007

La dorata notte degli Oscar


Ecco tutti i vincitori degli Academy Awards 2007 - Arriva finalmente il trionfo di Scorsese: "The departed" ha ricevuto 4 statuette..
Miglior Film THE DEPARTED

Attore protagonista Forest Whitaker per L'ultimo re di Scozia

Attrice protagonista Helen Mirren per The Queen

Attore non protagonista Alan Arkin per Little Miss Sunshine

Attrice non protagonista Jennifer Hudson per Dreamgirls

Film straniero The Lives of Others - GermaniaRegia di Florian Henckel von Donnesmarck

Film d'animazione Happy Feet - George Miller

Sceneggiatura non originale The Departed William Monahan

Sceneggiatura originale Little Miss Sunshine Michael Arndt

Scenografia Il labirinto del fauno Eugenio Caballero e Pilar Revuelta

Fotografia Il labirinto del fauno - Guillermo Navarro

Montaggio The Departed - Thelma Schoonmaker

Trucco Il labirinto del fauno - David Marti e Montse Ribe

Colonna sonoraBabel - Gustavo Santaolalla

Canzone originale I Need to Wake Up da Una scomoda verità (Melissa Etheridge)

Montaggio sonoroFlags of Our FathersAlan Robert Murray e Bub Asman

Missaggio sonoro DreamgirlsMichael Minkler, Bob Beemer e Willie Burton

Effetti speciali Pirati dei Caraibi: la maledizione del forziere fantasma John Knoll, Hal Hickel, Charles Gibson e Allen Hall

Documentario Una scomoda verità Regia di Davis Guggenheim

Documentario (corto) The Blood of Yingzhou District Regia di Ruby Yang e Thomas Lennon

Cortometraggio animato The Danish Poet Regia di Torill Kove

Cortometraggio West Bank Story Regia di Ari Sandel

Oscar alla carriera Ennio Morricone
L'Italia del Cinema ha avuto un doppio prestigioso riconoscimento, a partire dal premio per i migliori costumi a Milena Canonero (3° Oscar) per arrivare a quello per la gloriosa carriera del maestro Ennio Morricone, introdotto da Clint Eastwood ed omaggiato dall'intera platea vip.
simulescion3

lunedì, febbraio 26, 2007

BASKET: Il Magic cerca la riscossa




Dopo un avvio di campionato FIP estremamente brillante, il Magic Team 92 (dove giocano i due della redazione) si è assestato su un bilancio poco inferiore al 50% di vittorie. La breve strada che porta ai playoffs, obiettivo stagionale, si fa così in salita per il team guidato da coach Laurenti, anche per via dei numerosi dissidi interni alla squadra e per i costanti infortuni che anche quest'anno hanno decimato la rosa. Bisognerà ritrovare la giusta chimica per poter pensare di concludere la stagione nel migliore dei modi, nulla è perduto e tutti dovranno far la loro parte, anche gli straordinari se necessario....
Il Secco qui ripreso in una partita casalinga è sulla buona strada! Che anche gli altri s'impegnino così.
Let's go "Magic"!!!

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giovedì, febbraio 22, 2007

Parco Leonardo: libertà di vivere(?)

Percorsi extra...Parco Leonardo




Parco Leonardo, il più grande centro commerciale d'Italia, con annesso centro residenziale circostante in continua espansione, è un nuovo modello di architettura urbana, una città del terzo millennio tra Roma e Fiumicino, basata su uno stile di vita completamente innovativo.

Il gruppo di studenti composto da Andrea Nardini, Marzia Cavallucci, Giorgia Del Cupola, Riccardo Tucci, Maria Laura Varcaccio Garofalo e Simone Bracci si è occupato di realizzare un’inchiesta, ad un anno dalla nascita del Centro commerciale, indagando sullo stile di vita e sugli aspetti positivi e/o negativi di questo nuovo complesso urbano, secondo le opinioni degli abitanti di Parco Leonardo. L'inchiesta ha voluto conoscere le voci dei commercianti e verificare l’effettivo sviluppo di quello che era stato definito un enorme business commerciale, controllare l’effettiva realizzazione di tutte quelle promesse che sono state fatte ad inizio progetto ai cittadini, ai commercianti e alle migliaia di persone che quotidianamente confluiscono in tale realtà.
Eccovi un assaggio del nostro video..

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sabato, febbraio 17, 2007

TITOLI DEI FILM: Lost in translation


TITOLI DEI FILM: QUANDO (MALE) INTERPRETARE E’ MEGLIO CHE TRADURRE
La scarsa vena creativa dei Distributori italiani
Eternal sunshine of the spotless mind! E’ questo il verso numero 209 della poesia “Eloisa to Abelard”, scritto da Alexander Pope e che tradotto in italiano significa esattamente “l’eterna luce della mente immacolata”. Ma è anche il titolo di uno dei più bei film degli ultimi tempi, sicuramente il più originale del 2004. La pellicola diretta da Michel Gondry e vincitrice di un oscar per la migliore sceneggiatura originale di Charlie Kauffman è stato solo il caso più recente, in ordine di tempo, della sconsiderata distribuzione italiana: ormai una burlesque nel panorama cinematografico nostrano. Come i versi della raffinata opera del poeta anglosassone abbiano miseramente assunto il significato di “Se mi lasci ti cancello” è ormai il risultato conclusivo di un processo di (male) interpretazione che affligge la nostra distribuzione già da un bel po’. Ciò che si sta analizzando è quel processo che assegna il corrispettivo titolo italiano alla pellicola d’origine internazionale e per cui, forse a causa della noncuranza di alcuni professionisti del settore, siamo spesso di fronte a cattive interpretazioni del name autentico, ossia o a traduzioni che si adeguano bonariamente al contesto della trama o, in casi specifici (e ormai molto frequenti) a titoli nemmeno tradotti. I film che si possono citare sono molti, per ciascuna delle due anomalie. Oltre alla già indicata opera di Gondry, alcuni film che hanno avuto il privilegio di interpretazioni puramente contestuali sono stati “Ti odio, ti lascio, ti.. (The Break-up - La rottura..di un rapporto), “Quando meno te lo aspetti” (Raising Helen – Crescendo Helen), “Prima ti sposo poi ti rovino” (Intolerable cruelty – Crudeltà insopportabile): tutte commedie romantiche che parlano delle più differenti relazioni tra uomo e donna. Il problema sorge quando una pellicola dal potenziale intrinseco viene danneggiata dal titolo fuorviante che gli è stato assegnato, nel momento in cui questo non rispetti la naturale interpretazione, dal nome originale alla nostra lingua nazionale. Solo per quanto riguarda l’ultima stagione, invece, in italiano rimane solo un’indicazione nel sottotitolo, di frequente anche fuori tema. “Shall we dance”, The Woodsman” - Il segreto, “In good company”, “Sideways” - In viaggio con Jack rappresentano l’altro caso, sono pellicole che riflettono la neo moda del preferire la completa non traduzione, lasciando il cittadino italico medio nel più totale buio in materia filmica, buio che ciascuno compensa a modo suo: non andando proprio a vedere tale film (ed è un notevole danno d’immagine, oltre che economico), oppure lasciandosi convincere ad entrare in sala dal minuto di un qualsiasi trailer a disposizione. Tutto ciò è ovviamente controproducente per l’opera stessa, che al botteghino viene trascurata, ma anche per lo spettatore, il quale, confuso da nomi da barzelletta nemmeno divertenti, finisce col preferire il certo per l’incerto, privilegiando spesso il blockbuster ad un’opera più innovativa. Nonostante tutte le sfumature possibili ed immaginabili che possano esistere tra una lingua e l’altra, sarebbe corretto, dunque, che le nostre case di distribuzione cinematografica (soprattutto quelle affiliate alle grandi major) traducessero nella maniera più attinente al titolo primordiale. I distributori si dovrebbero porre da orator e non da interpretes, ossia, come insegna la storia della traduzione, distinti in coloro che traducono (il titolo) e coloro che lo interpretano, poiché è solo riportandosi all’etichetta decisa dall’autore che ciascun film straniero potrà esser reso nell’unica maniera possibile. Quella consona ed attinente naturalmente.
SimOne

sabato, febbraio 10, 2007

All Star Game 2007 - La prima volta

(Il commissioner Stern alla presentazione ufficiale)

Il basket NBA si prepara a celebrare il suo evento più rinomato e riconosciuto, quasi più delle Finals di fine maggio. Il weekend delle stelle, è uno degli eventi sportivi più attesi dell’anno, perché sinonimo e garanzia di “vero” spettacolo, un entertainment game in pieno stile american, che coinvolge i migliori giocatori del circuì ed unisce tutti i tifosi del mondo, ognuno a sostenere i proprio beniamini. Dalla gara delle schiacciate a quella del tiro da tre, dal 3on3 vecchie glorie allo slam dei play, insomma un divertissment per gli appassionati della (rientrante) palla a spicchi targata NBA. Perché la prima volta? Per diverse ragioni:
- la presenza del nostro Andrea Bargnani, impegnato a gareggiare nella partita d’apertura tra i rookies ed i sophomore (secondo anno nella Lega)
- la città ospitante quest’anno sarà Las Vegas, la città del peccato sponsorizzata dai fratelli Maloof, i proprietari dei Sacramento Kings, che non ha nessuna franchigia professionista
- la mancata convocazione di Melo Anthony (top scorer a 31 di media), per via della maxi rissa dicembrina al Madison di NY, poi ottenuta causa l’infortunio di Yao Ming
- la prima convocazione in quintetto per la stella dei Wizards Gilbert Arenas, nickname Agent Zero

Insomma, tante le novità attese per questo evento che prenderà via il 16 marzo fino al 18, essendo considerato come ogni anno la boa di metà stagione, ossia il tempo di tracciare bilanci per ciascuna delle 30 franchigie in competizione.

simulescion3

domenica, febbraio 04, 2007

CINEMA: The Aviator


Per onorare il grande Martin, in occasione della sua ennesima candidatura alla notte degli Oscar, ecco pescare dal nostro archivio la recensione del suo penultimo film. Sperando che The Departed abbia maggiore (e meritata) fortuna.....................................................................................................................
(Ascesa e caduta del magnate Howard Hughes)
La sequenza iniziale coincide con il primo piano di chiusura, l'immagine di un uomo-bambino nel riflesso della sua esistenza. Un'esistenza vera e difficilmente immaginabile. Perchè è da piccolo che quel distinto signore degli anni quaranta, tale Howard Hughes, sviluppa la sua mentale ossessione per l'igiene, una psicosi che condizionerà la sua vita comunque svavillante. Proprio su questo punto Martin Scorsese costruisce la sua ultima fatica, un'opera cinematografica importante fortemente voluta dal produttore-interprete Leonardo Di Caprio, che racconta gli anni ruggenti di questo magnate del petrolio, regista, playboy e aviatore allo stesso tempo. Il film segue da vicino la megalomania del ricchissimo Hughes, uomo capace di spendere 4 mil.di dollari per girare il suo capolavoro, Gli angeli dell'inferno, ma anche persona dalle mille donne, che ha amato l'ingegneria aeronautica a tal punto da realizzare la sua ambizione, progettare-costruire-e-pilotare l'Hercules, il più grande aereo di allora, diventando il padrone dei cieli. Il tutto destinato a rappresentare la sconfitta dell'utopia e la concretizzazione dell'universale sogno americano, a scapito di dicerie, processi, rischi di bancarotta e una costante fobia che alla fine prenderà il soppravvento sulla razionalità dello stesso Hughes. Di Caprio incarna ancora una volta alla perfezione il corpo e il volto di una persona dalla grande personalità e inventiva, vera e propria icona del capitalismo occidentale, divisa fra il suo impero volante (la compagnia aerea TWA) e i progetti di matrimonio con le dive hollywoodiane più chic dell'epoca, tra le quali Katharine Hepburn (un'ottima Cate Blanchett), Jean Harlow e Ava Gardner. La pellicola di Scorsese, della durata di 178 minuti, manca però di identificazione con lo spettatore e, come già successo per Gangs of New York, a tratti ha la pretesa di sostituire l'enfasi visiva con la linearità del racconto. La pecca del voler raccontare tutto e tutto concentrato insieme, dall'introspezione mentale del personaggio, fino al tentativo di raccontarci la gestione delle relazioni sentimentali, provoca spaesamento in chi assiste alla proiezione e rappresenta ciò che separa il lavoro di Scorsese dall'essere un capolavoro riconosciuto a quello che invece risulta, il solito ottimo film. Discorso Oscar a parte, dove speriamo nel meritato riconoscimento alla carriera del grande Martin, The Aviator è un film godibile dall'inizio alla fine, recitato impeccabilmente e diretto altrettanto, nonostante certe pretese cui sfoggia nell'impostazione narrativa e che, alla lunga, suscitano più perplessità che emozioni. Bisogna aggiungere infine, ciò che la pellicola vuole raccontare. Il tema che scorre nel "sottosuolo" della storia è l'inesauribile rincorsa dell'uomo al futuro, un'ossessione che nei secoli ci è sempre appartenuta e che, come si evidenzia nel protagonista del film, rappresenta il tentativo di far coincidere due momenti storici separati, di possedere il tempo nel pugno della propria mano e poi scoprire che tanta insensatezza conduce solo alla follia. Una follia che ha portato l'aviatore Howard Hughes dalla gloria alla propria alienazione.
SimOne

lunedì, gennaio 29, 2007

La musica per ogni occasione


Immaginate di avere sempre l'opportunità di circondare la vostra esistenza, composta da innumerevoli occasioni, di musica adatta.
Non male vero?
Non so voi ma il sottoscritto "rosica" sempre ogni qualvolta al cinema nota che il protagonista , qualsiasi sia il suo stato d'animo, ha sempre la musichetta d'accompagnamento sotto...sempre maledettamente azzeccata.
Ovviamente non è quello a cui possiamo aspirare noi, ma le molteplici opportunità che la tecnologia odierna e il qualunquismo musicale spinto di oggi offrono possono sopperire a questa mancanza.
La cosa migliore che possiamo fare per noi stessi e per chi ci sta intorno è scegliere bene.
Ecco dunque una lista di "dritte" musicali per le occasioni classiche:

1- Cena romantica a casa con il partner: dunque, scordiamoci decisamente George Michael e Careless Whisper per cortesia; metterla su al giorno d'oggi è na cafonata terribile. Meglio della musica soft, da camera, che si presta ad un ascolto distratto e permette dolci conversazioni e languidi sguardi.
2- Cena Aromantica a casa con il "partner": qui il convivio è visto decisamente come un preliminare del vostro vero scopo, sia che siate donne che siate uomini, quindi è perfettamente inutile permeare l'ambiente con uno pseudoromanticismo da film con Meg Ryan, molto meglio mettere sotto della musica che dia la carica e faccia perdere ogni velleità di dolcezza alla serata. Preferenza per il Rock anni 70.
3- Wake up dopo una nottata brava e con l'autobus per andare al lavoro che già strombazza in fondo alla strada; 2 alternative: a)se eterosessuali, colonna sonora di Rocky; b) se omosessuali, tutta la funky black whatever you call it anni 80, con preferenza per Maniac di Michael Sembello.
4- House party all'americana (magari): si opta quasi sempre per i grandi classici non ballabili finchè c'è poca gente e magari, da bravi italianetti, una qual certa renitenza a conoscersi...poi si va in crescendo con la musica Dance contemporanea- preferenza House- per poi divertirsi, una volta ubriachi fradici, con la Revival 70 e 80. Finale con lenti per i pomicioni ed Happy Days col bicchierino della staffa.
5- La musica in macchina: per uno che abita a Roma lo stereo in macchina assume significato ESSENZIALE. Anche in questo caso però si è costretti a differenziare i diversi momenti abitudinari. Traffico mostruoso sul lungotevere di Sabato sera: mettetevi "er core in pace" e alzate un pelino il volume della discografia di Tom Waits e Louis Armstrong con intermezzi comici delle colonne sonore di Benny Hill ed Ace Ventura per evitare il suicidio ormai prossimo.
Strada completamente spianata e nessun orario per l'appuntamento: Bruce Springsteen docet e Creedence Clearwater Revival non vi faranno sentire nessuno di quei tanti chilometri (perchè sicuramente vi trovate in autostrada, a Roma non è MAI vuota la strada) che state facendo.
Classica serata da NON SO DOVE STO ANDANDO MA SO CHE CI STO ANDANDO, unico consiglio: assecondate il vostro umore e agite sullo stereo di conseguenza.

Scion

domenica, gennaio 21, 2007

L'evoluzione della musica


Il giovane che ascolta un determinato tipo di musica, finisce per acquisire un certo modo di essere, di vestirsi, di parlare, frequentare certe persone piuttosto che altre. La musica come valore fondamentale nelle scelte e nella vita della persona. Ogni cultura possiede un linguaggio musicale proprio e specifico, fatto di organizzazione di suoni, ritmi, armonie, sonorità, strumenti, forme e questi, a loro volta, riflettono modi di pensiero, ideologie, credenze, usanze, caratteristiche ambientali ecc. La musica, dunque, segue l’evoluzione della società, dei suoi gruppi nel suo continuo e dinamico trasformarsi, spesso assumendo caratteri negativi, altre volte positivi, ma resta comunque un'immancabile compagna di vita che cambia colore, corpo e anima al mutare di noi stessi. Ecco in anteprima online la foto di una pagina del sito che sta per essere lanciato nel progetto di Milano e Roma, si chiama EUROTHEORY.COM e sarà online in versione completa dal 1 gennaio 2007. "E' un (nuovo) portale musicale europeo che diffonderà la musica di gruppi ESCLUSIVAMENTE europei", come ci dice l'ideatore Andrea Nardini, "che nel mare magnum del web non riescono ad emergere per l'atroce concorrenza della musica americana all'interno dei siti musicali". Grazie a quest'innovazione multimediale, si potranno uploadare profili di gruppi e case discografiche, foto, mp3, video, consultare classifiche e scoprire tanti tanti gruppi finora sconosciuti, quegli innumerevoli talenti emergenti che hanno semplicemente voglia di farsi ascoltare e perchè no anche apprezzare.
Uno spazio dedicato a chi di musica vive!
simulescion3

lunedì, gennaio 15, 2007

CINEMA ORIENTALE: Il Wuxia-pian


Per analizzare la nuova ondata del cinema asiatico dobbiamo considerare una curiosità.
Da sempre ammiratore di tale genere cinematografico, prima di iniziare le riprese di Kill Bill, Quentin Tarantino ha consegnato al suo direttore della fotografia una lista di titoli da visionare, ossia quasi tutti i film wuxia prodotti dalla famosa Shaw Brothers. Un elenco di b-movies made in Hong Kong sulla scia degli spaghetti-western e delle faide di guerrieri e samurai giapponesi. Ma qual è il significato preciso di questo nome? Il wuxiapian è un film di combattimenti cavallereschi, definito talvolta film di cappa e spada, i cui protagonisti sono dei cavalieri erranti. Questo è uno dei generi più forti di Hong Kong, il cui marchio di fabbrica sono le fastose scenografie ricreate proprio all'interno degli studi Shaw, un firmamento che parla mandarino e che esalta l’ideale nostalgico della patria perduta e sviluppa l'idea mitica della Cina. Il periodo di maggior popolarità è il decennio che va da metà degli anni sessanta alla metà degli anni settanta. Come ne “La Tigre e il Dragone” di Ang Lee, i film wuxia-pian si compongono di dialoghi poetici, di combattimenti mozzafiato bilanciati con l’analisi emotiva dei personaggi, dove da una parte sta l’azione-estetica, dall’altra, la profondità-psicologica. L’armoniosa coreografia dei duelli fatti di voli acrobatici e leggerezza sinfonica rispecchiano la ricerca di libertà dei personaggi, volare diventa sinonimo dello “sfuggire alla realtà”. Uno degli ultimi esempi del genere è Hero, di Zhang Yimou, che ha rilanciato l’eroismo romantico orientale sul grande schermo. Hero è un wuxia assolutamente astratto, infatti nonostante la storia sia violenta, il sangue e la brutalità ne sono come banditi, tanto che due combattimenti sono mentali, solo immaginati, come in quelle storie di samurai dove uno scambio di sguardi tra due guerrieri, serviva per decidere l’esito del combattimento. Risulta, così, una continua sfida alla fisica e alla gravità, dove i colpi dei personaggi sono in grado di deviare centinaia di frecce, dove il tempo si ferma e tutto si decide sul terreno di un distesa d'acqua. Tuttavia, il wuxiapian, pur essendo tipicamente cinese, raccoglie al suo interno influenze maggiori provenienti da tutto il mondo: è un luogo di fantasia spesso indifferente alla verosimiglianza storica, dove però permane il concetto di eroe che contamina anche generi estranei, come i moderni gangster movie. Il sottobosco cinematografico da cui nasce la leggenda dei wuxiapian è ricco e brulicante: vi si muove, in primis, tutto il cinema degli albori cinese, che dagli iniziali vagiti già raccontava storie di cavalieri erranti dotati di magici poteri. Un'importante influenza viene dal cinema giapponese di samurai, che all'epoca riscuoteva enorme successo presso il pubblico. In questi film tanto i buoni, quanto i cattivi dispongono di poteri quasi magici e i loro corpi possono sfidare la gravità in salti spettacolari, contro ogni legge della fisica. Qui si trova una basilare differenza tra il film di kung fu ed il wuxiapian: mentre gli eroi del primo imparano con difficoltà le arti marziali che serviranno loro ad ottenere vendetta (un allenamento volto al perfezionamento del corpo e della mente), la maggior parte dei cavalieri erranti sono già in possesso di incredibili poteri e spesso di ancor più fantasiose armi. Uno dei registi cardine del movimento wuxia è stato Zhang Che. Scopritore di talenti, Zhang non si limita ai soli attori che, sotto la sua regia, diventano star: il suo assistente alla regia più celebre è John Woo. Se Zhang rappresenta il lato macho ed ultraviolento dei wuxiapian (lato che Woo continuerà ad esplorare nei suoi film , che sono stati a più riprese descritti come film di cavalieri che brandiscono pistole anziché spade), il suo collega King Hu sviluppa invece una poetica intimista di grande bellezza formale. Questi due autori, così diversi, hanno dato lustro all'epoca d'oro dei wuxiapian, e ne hanno vissuto parimenti il declino, spingendo all'estremo le loro ossessioni oniriche e allegoriche. Rimane il fatto che il wuxiapian è stato e resta un prodotto di nicchia, che spesso, dopo l’exploit iniziale, tende a stancare il pubblico, quindi ad autoesaurirsi facilmente. Ovvio che nessuno se lo auguri, perché le opere sono dei veri e propri manifesti d’amore verso il cinema. E’ importante, però, sottolineare come questo resti un genere dalla difficile digeribilità, specie al momento della sua esportazione nei più smaliziati paesi occidentali.
SimOne

mercoledì, gennaio 10, 2007

BASKET NBA: Effetto Andrea Bargnani



Raptor #7 in action vs Carter

da www.gazzetta.it

TORONTO (Can), 7 gennaio 2007 - Domenica prima e durante l’incontro Toronto-Washington si è festeggiato all’Air Canada Centre l’Italia Day in onore di Andrea Bargnani e Maurizio Gherardini. La Camera di Commercio italiana di Toronto ha organizzato un brunch prima della partita per dare il benvenuto ufficiale all’azzurro con l’atleta romano ospite d’eccezione insieme al vice presidente dei Raptors. Un’occasione unica per i tifosi italo-canadesi per incontrare il giocatore che in soli due mesi d’attività nella Nba è già diventato un punto fermo della squadra canadese. “Penso che non solo avrete la possibilità di ammirare Andrea come giocatore ma anche come personaggio positivo - ha detto Gherardini -. Vogliamo che voi possiate essere fieri delle esperienze di Andrea in campo e del mio lavoro dietro la scrivania. Vi siamo riconoscenti per il sostegno e ci auguriamo che il tifo italiano aumenti nel corso della stagione, da parte nostra vogliamo contraccambiare facendo sì che Andrea diventi motivo d’orgoglio per la comunità. Attualmente siamo la franchigia Nba maggiormente riconosciuta all’estero forse perché abbiamo raccolto così tanti giocatori internazionali e per la grande attenzione mediatica derivata dalla selezione di Andrea al draft. Stiamo lavorando duro per riportare Toronto in una situazione vincente più in fretta possibile e per farlo abbiamo bisogno di giocatori speciali e di un gm speciale come Bryan Colangelo. L’obiettivo è di conquistare il rispetto a livello mondiale e ci riusciremo di sicuro".
Ed ecco finalmente, accolto da un caloroso applauso, Andrea Bargnani scortato dall’organizzazione Raptors. Il Mago esordisce in inglese: “Sono molto felice di essere tra di voi anche se ho poco tempo perché mi attendono per il riscaldamento pre-partita.”, mentre un fan lo incita a parlare in italiano. Bargnani si è prestato a firmare più autografi possibili prima di essere richiamato dallo staff dei Raptors. I circa 150 partecipanti al brunch hanno avuto la possibilità con il biglietto acquistato di assistere alla gara contro i Wizards prima della quale è stata consegnata ai primi diecimila tifosi giunti all’ACC una statuetta da collezione raffigurante Andrea Bargnani (a essere sinceri poco rassomigliante come ha ammesso lo stesso Bargnani). Una parte del ricavato del brunch andrà alla fondazione italiana in favore degli anziani Villa Charities, alla quale Bargnani ha contribuito personalmente con una donazione di 10.000 dollari.

simulescion3

martedì, gennaio 02, 2007

CINEMA: Lord of war


Il signore della guerra è colui che ne decide le sorti vendendo il mezzo più semplice al miglior offerente: le armi. Perché la vera arma di distruzione di massa non è rappresentata da un ordigno nucleare, ma da una tonnellata di mitragliette Uzi convogliate illegalmente nei paesi in guerra e date in mano ai bambini-soldati. Questo è l’assunto di base del nuovo film di Andrew Niccol, uno dei pochi autori hollywoodiani che giocano col sistema, si pongono sulla soglia del circuito mainstream, raccontando le loro storie. Spesso crude, ironiche e pervase da un alone di ambigua moralità. Lord of war ne è solo l’ultimo (dirompente) esempio, un’opera che l’autore di The Truman Show, S1mone e Gattaca, ha trasformato in un inno al cinismo, dove non è mai stato tanto vergognoso schierarsi dalla parte del cosiddetto antieroe. Un uomo, Yuri Orlov, che fa del suo lavoro di mercante d’armi una professione di vita, un mestiere che richiederà il suo sangue e che lo lascerà solo e pieno di rimorsi, dopo vent’anni in lungo e in largo tra i peggiori olocausti silenziosi che la storia recente ricordi: dall’Africa Centrale ai Balcani. Un impeccabile Nicolas Cage da il volto al protagonista, riuscendo nella machiavellica impresa di rendere credibile tanto la difficoltà di comunicare con la propria famiglia (dal fratello Jared Leto, alla splendida moglie Bridget Moynahan), quanto la lucida tranquillità dell’inganno che i suoi occhi hanno mentito di fronte all’ennesima perquisizione dell’agente di polizia (Ethan Hawke), messosi sulle sue tracce. L’ossatura della pellicola è quella del gangster movie, si narra la perdizione morale di un antieroe raccontata dal suo punto di vista. Tra Sierra Leone e Ucraina, Orlov aumenta il suo impero dai primi anni ottanta fino ai giorni nostri, una quotidianità in cui i proiettili assumono il valore di una merce di scambio, come se l’uomo fosse tornato all’era del baratto. In questo caso, però, è solo la vita ciò che rimane sul piatto della bilancia. Il film tratta argomenti scomodi e spinosi e non lesina sul mercenarismo del mondo politico, né difende l’istituzione degli Stati Uniti, troppo spesso complici anche di ciò che di brutto c’è al mondo. Le affermazioni finali, colte dallo sguardo triste e disilluso di Orlov, afferma come sulla terra una persona su dodici possegga un arma e come gente come lui si prodighi per armare le restanti undici. La terza fatica registica di Niccol coincide con un attacco globale a tutte quelle nazioni, membri permanenti dell’Onu, che fanno del commercio delle armi un conscio business di sangue, stando poi a guardare senza intervenire i piccoli conflitti locali, specie nei paesi sottosviluppati dove i pseudo-dittatori la fanno da padrone, arrichendosi sulla fame del popolo. Il film si macchia solo ogni tanto di prevedibilità, ma per gli occhi resta comunque uno spettacolo autocritico, un’opera solida e ben costruita che trova in se stessa l’energia per autoalimentare la denuncia che porta avanti, per raccontare una storia attualissima, coinvolgente e di grande spessore emotivo. La perdita della propria coscienza è solamente il primo passo sulla strada della perdizione, perché il (vil) denaro appiana ogni divergenza e soffoca ogni malumore, compreso il fastidioso ronzio dentro le orecchie che risponde al nome di omertà. In fondo, come direbbe Yuri, questa non è la nostra guerra. Ma allora con chi ci dovremmo schierare?
SimOne