sabato, dicembre 09, 2006

Back in MUSIC: Le Vibrazioni



Le Vibrazioni presentano "Officine meccaniche" - 4 anni di continua evoluzione


(da www.rockol.it) Alla stampa, che ha ascoltato la nuova fatica di Francesco Sarcina e soci nel modo più rumoroso e "sano" possibile, Le Vibrazioni si presentano praticamente ancora con gli strumenti a tracolla: barba e capelli lunghi, l'ensemble meneghino smorza (con ironia) chiunque ipotizzi una "svolta rock" nella produzione del gruppo di "Dedicato a te": "No, non è una curatrice d'immagine che ci ha consigliato questo look", scherza Francesco, lievemente influenzato, a pochi metri dal palco, "In studio pensi solo alla musica, e trascuri tutto il resto. E la barba, se non viene rasata, cresce". E proprio dallo studio il cantante parte a spiegare la genesi di questo nuovo disco, caratterizzato da una scrittura sicuramente più ruvida e meno facile dei precedenti: "Già, 'Officine meccaniche' è anche il nome dello studio di Mauro Pagani, quattro mura che hanno visto e fatto la storia del rock, nazionale e non solo. Noi l'amore per le sonorità vintage e i processi produttivi analogici l'abbiamo sempre avuto, quindi questa volta ci è sembrato di realizzare un sogno...". E quei riff acidi, quegli intermezzi strumentali dove theremin e delay la fanno da padrone? "E' vero, i brani nuovi sono più spigolosi di quelli vecchi", interviene Marco, il bassista, "Ma noi, un forte impatto live, l'abbiamo sempre avuto". Secondo album, sarà la svolta?...

simulescion3

domenica, dicembre 03, 2006

CINEMA ITALIANO: poca fantasia e troppa realtà


LA VERA CRISI DIPENDE DALLA MANCANZA DI GENERI
(FILM MONOTEMATICI E PELLICOLE A SENSO UNICO NON COINVOLGONO PIU’...a lato "Le conseguenze dell'amore")
Ne abbiamo parlato,abbiamo provato a spiegarcelo,insomma ce lo siamo chiesto proprio tutti credo: Qual è la causa degli insuccessi commerciali dei film made in Italy? Ebbene a monte delle varie discussioni e delle ipotesi avanzate,la spiegazione l’abbiamo avuta sempre davanti agli occhi,senza rendercene conto. Cosa manca alla nostra “gloriosa” industria cinematografica per riuscire a risollevarsi,magari anche all’estero?In questi ultimi anni di grande rivoluzione visiva,con l’avvento e il conseguente impatto massmediale della tecnologia digitale,l’Italia(come altri paesi europei,non disperiamo)non è riuscita a mutare quella radicata abitudine del fossilizzarsi su un unico genere fiction: il dramma real-storico nel Belpaese.Per carità,nulla da togliere a quelle opere che annualmente tentano di risollevare il disastrato mercato italiano(interamente dominato dai prodotti hollywoodiani),ma la situazione resta tale. Questo è il quadro che si presenta ai nostri occhi,analizziamolo meglio. La totale presenza delle pellicole d’oltreoceano è dovuta proprio alla possibilità,che i film statunitensi concedono agli spettatori,di poter scegliere tra numerosi generi. Cosa che si rivela fondamentale poi all’ingresso in sala. Il fruitore italiano medio,se volesse optare per un film nostrano,non avrebbe nessuna difficoltà nel preferire il classico genere impegnato,ma se volesse cambiare,attirato,non so,dalla fantascienza,dall’azione,dall’horror,dal thriller e via citando,si troverebbe spiazzato,anzi privo di una qualsiasi possibilità di scelta. Come ho detto prima,salvo qualche eccezione,che effettivamente conferma la regola e che,negli ultimi anni,possiamo indicare in film come:L’imbalsamatore di Matteo Garrone,Almost Blue di Alex Infascelli,Ricordati di me di Gabriele Muccino,Piazza delle Cinque Lune di Renzo Martinelli,oltre ai soliti apprezzatissimi lavori di Salvatores,Verdone e di altri autori,la produzione italiana è orientata verso pellicole di scarsi e previsti incassi cinematografici e verso un successivo sfruttamento delle stesse a livello televisivo. Già,in Tv,dove per calcoli aziendali ed economici il filmetto soft da prima serata,magari ultracensurato,è dato in pasto ad un target senza nome,che,posso assicurare,è perfettamente consapevole della differenza di prime visioni passate dal grande al piccolo schermo e non se ne fa sempre una ragione. Bisognerebbe,dunque,guardarsi intorno e capire che i movie-gender sono opportuni e necessari ad un maggiore pluralismo cinematografico. Solamente in questo modo l’Italia dei film potrà riossigenarsi,solo così,potrà riaccendere nel pubblico quel desiderio smarrito di vedere un film italiano diverso dal solito.
SimOne

martedì, novembre 28, 2006

Sportivi si nasce, a volte si diventa.



"Per Karl Malone allenarsi seriamente era fare il proprio dovere"
La differenza che passa tra una persona che fa sport ed uno sportivo è esattamente la stessa che passa tra una persona che fa il suo lavoro ed una persona che ama fare il suo lavoro; volendo dare un' identità a questo concetto possiamo riassumere il tutto con "spirito di abnegazione".
Restringiamo il campo.
Evitiamo inutili divagazioni su sport della domenica o "sport" tipo il bodybuilding e concentriamoci sullo sport che si tratta qui su Simulescion: il basket.
Lavora.
Suda.
Respira.
Ricomincia.
Bastano questi quattro ordini al tuo cervello per correre su e giù per il campo, lottare in difesa, trovare buone soluzioni in attacco, aggredire il rimbalzo, buttarti sulla palla vagante...mettere dentro tiri che contano.
Tutto nasce dalla MENTALITA'.
Troppe volte giocatori con notevoli potenzialità gettano tutto all'ortiche per mancanza di spirito d'abnegazione e mancanza di carattere.
Se pensi di non essere adeguato o non vuoi impegnarti fino in fondo, tanto vale che prendi una palla da Cisalfa, vai al campetto più vicino e ti metti a tirare.
Nessuno ti vorrà in squadra, non conta quanto sei simpatico o spiritoso, conta quello che dai..e non c'è peggior sensazione che puoi instillare nell'allenatore e nei compagni di quella che non stai dando il massimo in quel momento.
E' sbagliato a qualsiasi livello, non conta se amatoriale o professionistico, quando c'è un avversario si dà il massimo..in primis per rispetto per la squadra, poi per rispetto dell'avversario stesso, ed ancora per rispetto per se stessi.
Se vuoi buttarti giù, se vuoi che il senso di sconfitta invada il tuo cervello e quindi le tue forze, se scegli la strada più corta fai pure....ma al campetto di cui sopra.
Quando fai parte di una squadra si inizia e si finisce con essa, e le individualità sono volte sempre e solamente all'innalzamento del livello del team.
Sei entrato da 10 min, hai 0 su 4 al tiro, 3 falli tutti evitabili e l'allenatore che urla nelle tue orecchie...ti arrendi?
Manca non molto alla fine della partita, il tuo tabellino dice sempre 0 in ogni voce statistica, l'unica riempita sono gli orrendi falli evitabili (con contestazioni e probabili tecnici), la tua squadra è ancora in gioco e l'allenatore e i compagni contano comunque su di te...ti arrendi?
Credi che il fatto stesso di essere al centro delle speranze del tuo team sia eccesso di fiducia nei tuoi mezzi? bene, prendi da parte tutti e dillo..nessuno si fiderà più di te, l'allenatore ti utilizzerà sempre meno fino a non convocarti più, e i tuoi compagni ti guarderanno con terrore ogni qualvolta chiederai loro la palla.
Ti arrendi?
Come molti altri sport nel basket una buona prestazione è sintomatica di ottimo lavoro in palestra e se non ti impegni in allenamento non otterrai nulla in partita.
Hai fatto schifo all'ultima partita, credi di esserti allenato bene oggi? si? già il fatto che lo credi vuol dire che non hai fatto passi in avanti dall'ultima partita..torna in palestra.L'appagamento è il cancro della competizione, non importa a che livello ci si trovi, l'importante è fare quel che si fa al massimo delle proprie potenzialità, e i peggiori sportivi sono coloro che pensano di poter fare bene anche senza sforzarsi più di tanto. Sarai anche una bravissima persona, ma sei uno che fa sport, non uno sportivo.
(ndr SimOne: dedicato a chi NON ha voglia di mettersi in gioco..)
Scion

venerdì, novembre 24, 2006

Digressioni..."Una scomoda verità"







Si chiama An inconvenienth truth il film di Davis Guggenheim sui cambiamenti climatici che arriverà a gennaio nelle sale cinematografiche italiane, ma è stato già mostrato ai festival del cinema di Locarno e Cannes. Al Gore, candidato alla presidenza degli Stati Uniti, mette in guardia non solo la popolazione statunitense ma tutto il mondo, sui danni che l'effetto serra sarà in grado di produrre se non si pone rimedio alla sconsiderata crescita delle emissioni di gas inquinanti nell'atmosfera... Attraverso il Protocollo di Kyoto ed altre misure d'intervento immediato l'umanità per la salvaguardia del proprio pianeta Terra dovrà porsi di fronte al cosiddetto Global Warming. Riscaldamento globale è un termine usato per descrivere l'aumento nel tempo della temperatura media dell'atmosfera terrestre e degli oceani. L'opinione scientifica sul cambiamento del clima, come espresso nel Pannello Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC) delle Nazioni Unite, e firmato dagli accademici di scienza delle nazioni del G8, è che la temperatura globale media è aumentata di 0,6 ± 0,2 °C dalla fine del XIX secolo e che "la maggior parte del riscaldamento osservato durante gli ultimi 50 anni è attribuibile alle attività umane.
Dal blog di Beppe Grillo:
Se vogliamo evitare che le generazioni future ci sputino in faccia e ci chiedano i danni dobbiamo fare qualcosa per il pianeta. Le iguane, fuori dalla finestra di casa mia a Genova, mi guardano come un estraneo al sole estivo di ottobre. I grilli cantano tutta la notte. Le api fanno il doppio lavoro estate/inverno. I dati dell’effetto serra sono ormai quotidiani come le previsioni del tempo. Ci sommergono. Come faranno le acque con le coste e le città. Ma ci sono sempre gli scettici. Quelli che non ci credono e che ci sono sempre alternative. Senza mai dire quali. Altri che più modestamente se ne fregano. I ghiacciai si sciolgono. I fiumi si seccano. Le falde acquifere scendono.Basta con il catastrofismo? Con la solita deriva catastrofista per non affrontare i veri problemi. 279 specie di piante e di animali si stanno spostando verso nord. La malaria è arrivata sulle Ande. Lo scioglimento dei ghiacciai della Groenlandia è raddoppiato negli ultimi dieci anni. E la deriva catastrofista continua con le previsioni per i nostri nipotini. Quelli che butteranno le nostre ossa in una discarica. Entro il 2050 il polo nord scomparirà, un milione di specie si estinguerà, il livello del mare salirà fino a cinque metri.
Andiamo a vedere il film, è un piccolo tributo per capirci meglio sulla questione, un’inezia per la salvezza del pianeta.
simulescion3

martedì, novembre 21, 2006

BASKET: Magic Team in vetta al girone A


ALGARVE 55 - MAGIC TEAM 64
ALGARVE: FEDERICO C. 5, FRATELLO 9, BURATTINI 10, BERNARDI 5, PINCHETTI 2, Caon 12, Di Rocco, Brugnoli 8, Pisani L. All. Paciarelli.
MAGIC TEAM: VALENTI 11, VALENTINO 14, MARRACINO 1, BRUNO 6, PISANI 11, Bracci 2, Riccioli 3, Crucitti 7, Pisani M. , Stampacchia. All. Laurenti.
ARBITRO: Gargiulo di Roma
PARZIALI: 9-13 / 19–11 / 17-18 / 10-22
Il quinto atto del campionato di promozione vede sfidarsi Algarve e Magic Team. Ancora in formazione largamente rimaneggiata il Magic, privo di ben 6 titolari, riesce a conquistare 2 punti preziosi in trasferta contro una squadra che si è dimostrata molto ben schierata in campo, agressiva in difesa e che ha impostato un gioco molto fisico contro i lunghi avversari riuscendo a sopperire ai cm di differenza. Ora il Magic Team è atteso alla prova della verità giovedì prossimo, contro il torvaianica. Lo scontro al vertice, entrambe le squadre sono ancora imbattute, a quota 5 W dopo cinque gare di campionato, sarà infatti un buon banco di prova per verificare le vere ambizioni del giovane gruppo di Montesacro.
simulescion3


giovedì, novembre 16, 2006

Professione Doppiatore


Quanto contano in Italia le “Voci senza volto”?
La saletta buia è illuminata solo dalla lampadina sullo scrittoio e dal chiarore dello schermo. Pian piano gli occhi si abituano,così l’ambiente intorno a noi prende forma,rivelandoci il luogo dove i doppiatori lavorano,il loro habitat naturale. Uno di loro sta rileggendo la parte che dovrà incidere,mentre l’assistente rivolge un cenno al di là del vetro insonorizzato al direttore del doppiaggio. Si può iniziare.L’Italia è uno dei pochi paesi che può vantare una lunga e storica tradizione di doppiaggio,nonostante nei primi tempi,e si parla di diverse decadi fa,chi dava voce ai volti degli attori non era osannato,anzi trovava più critiche che assensi. Nata comunque per esigenze di scarsa alfabetizzazione nazionale,la figura del doppiatore fu interpretata agli esordi da pochi volenterosi,i soliti noti che ritroviamo sempre in ogni film dell’epoca. Successivamente,e per giusti meriti,questa professione è stata molto valorizzata,fino a giungere all’importanza che ha acquisito negli ultimi anni. Fare il doppiatore richiede grande sacrificio,un ferrea determinazione,l’essere “attore” fuori dagli schermi e senza un pubblico dinanzi. La questione,dunque,non è discorso di impegno lavorativo,ma solitamente nasce quando il pubblico si divide su una stessa opinione. Perché è ormai chiaro che da tempo c’è chi sostiene che una qualsivoglia pellicola cinematografica possa incrementare il proprio valore,se proiettata in lingua originale. Ci sono altri,invece,per i quali i sottotitoli creano disagi nella lettura e l’idea di privare i loro idoli della voce che li ha fatti “innamorare”,è vista come delitto sacrosanto. Altri ancora si astengono. Certo,se si pensa a voci storiche come quelle di Ferruccio Amendola o Giancarlo Giannini,i doppiatori di icone hollywoodiane quali Robert De Niro e Al Pacino,ma anche a certe “nuove” leve come Luca Ward,Roberto Pedicini,Alessandro Rossi, Tonino Accolla e via citando,si fa presto a schierarsi con i secondi. Ma se si assiste a Festival o Mostre del Cinema,come quella di Venezia,dove si rimane incantati di fronte alla bravura recitativa di alcuni attori,bisogna dare ragione anche ai primi. Sta a noi tutti scegliere ciò che si adatta maggiormente alle nostre esigenze. Gli addetti ai lavori si interrogano spesso su questo dibattito,anche se la soluzione resta ancora aperta. Sicuramente l’obiettivo,tutt’altro che utopico,dovrà essere almeno quello di concedere allo spettatore la possibilità di decidere,per conto proprio e senza imposizioni, verso quale delle due scelte optare. Per ora lo scenario,a meno di quelle eccezioni riassunte nelle sale che già offrono questa disponibilità,resta tale e immutato. Perciò,quando al termine di una proiezione scorrono i titoli di coda,soffermiamoci anche sui nomi di chi, dall’ombra, presta la sua voce al cinema.

SimOne

domenica, novembre 12, 2006

CINEMA: The Departed



Bello, bellissimo film come il sottoscritto non ne vedeva da un bel pò, sfornato dalla mente sapiente di quel genio che è Martin Scorsese, i cui recenti pseudo flops (Gangs of New York e The Aviator) lo hanno restituito allo stato di grazia al quale ci aveva abituati.
Grazie anche ad un' interpretazione molto intensa e piacevolmente nervosa di Leonardo Di Caprio, oramai attore prediletto dal buon Martin, ed al solito straordinario Jack Joker Nicholson (che qui appare come un padrino un tantino insudiciato dalla totale mancanza di moralità), che tra una battutaccia sui preti pedofili e uno sguardo come solo lui sa regalare ci offre ancora una volta cosa vuol dire "calarsi nella parte" quasi facendola sua, come se lui fosse sempre stato il Boss Costello e nessun altro.
Film magistralmente diretto ripreso da una pellicola hongKonghiana del 2002, The Departed rovescia subito il concetto di legge e fuorilegge, di giusto e sbagliato facendo fare paradossalmente la cosa giusta al protagonista con il passato e il presente più a rischio e la cosa sbagliata a quello dal passato immacolato e dal futuro in ascesa.
Si incontreranno dopo giochi psicologici, ricerche di giuda del dipartimento e omicidi più o meno preventivati, il tutto sotto gli occhi di una Boston che pompa il solito sangue irrequieto irlandese e che non dona ai suoi figli la benchè minima capacità di discernimento tra inferno e paradiso.
Ecco che quindi risulta importante la filosofia di vita di Jack Costello Nicholson, secondo il quale se non ci si può fidare nemmeno di preti -pedofili- e suore- un pò troppo libertine- figurati se vale la pena di porsi dei limiti in efferatezza e brama di potere.
Li tiene tutti nelle sue mani il buon Costello, rivelando e nascondendo tutto a tutti, dal suo protetto- protetto? chi protegge chi?- Matt Damon fino all' FBI, rimestando quel gran calderone di guardie e ladri che sfocerà nella rappresaglia più violenta e nella resa dei conti che non deve essere necessariamente, come il film del resto, "giusta".
Leo Di Caprio rischia la vita per consegnare Costello alla giustizia salvo scoprire che Costello in fin dei conti, è giustizia a sè, come lo specchio di ciò che non deve essere toccato in America.
Ecco perchè Costello parla come se fosse l'America in persona, lui ne rappresenta l'essenza estremizzata, il marciume e il potere, tutto all'ennesima potenza..come se dalle sue mani partissero i fili che governano il mondo.
Di Caprio trova anche il tempo di innamorarsi, nel poco tempo che gli concede il suo incarico di infiltrato, dell'unica persona che sembra non trattarlo come capra sacrificale, buono solo per abbattere a cornate il portone dorato della malavita organizzata bostoniana.
E' grande Leonardo in questo film, volubile, irascibile, nervoso e con un senso di giustizia che pare guidato più che altro dalla spaventosa voglia di vendetta che proverà nei confronti dell'irritante- e pur bravo- poliziottino Damon, che sembra uscirne indenne e pulito anche quando il letame sfiora il soffitto.
A pareggiare i conti- si far per dire- ci penserà Mark Wahlberg, che una volta tanto non impressionerà per l'eloquio forbito ma per quell'attimo d'esitazione prima di far fuoco e chiudere i giochi.
Menzione speciale per Martin Sheen, gran professionista, e per Alec Baldwin, se non fosse altro per essere stato il marito della Basinger.

Scion

Ecco il trailer:

domenica, novembre 05, 2006

MUSICA: Chinese Democracy in uscita?


I Guns 'N Roses nascono ufficialmente a Los Angeles nel 1985, frutto della fusione tra i membri rimanenti degli Hollywood Rose e degli L.A. Guns. La formazione originale vede al microfono Bill Bailey, proveniente da Lafayette, Indiana, che assume lo pseudonimo di Axl Rose; alla chitarra solista Saul Hudson, inglese trapiantato in California che assume il nome di Slash; all'altra chitarra Jeff Isabell, amico d'infanzia di Axl che diventa Izzy Stradlin; al basso Michael 'Duff' McKegan, di Seattle; alla batteria Steven Adler, originario di Cleveland e grande amico di Slash.
Ora, alle porte del 2007 Axl torna a far parlare di sè senza i suoi ex "fratelli". Il loro album fantasma Chinese Democracy, il grande ritorno sulle scene di Axl Rose e dei Guns'n'Roses (della cui mitica formazione originale c'è rimasto solo il tastierista Dizzy Reed) è pronto. Costato 13 milioni di dollari, è atteso da 15 anni dei quali ben 9 passati in sala d'incisione. Slash in questi anni non ha mai per un solo istante pensato di tornare a far parte della storica lineup, impegnato come è in una miriade di progetti paralleli. Axl nel frattempo si è fatto crescere il pizzetto, la pancia e si è fattopure i dreadlocks. L'ennesima data di uscita annunciata dall'etichetta Geffen Records è fissata per il prossimo 21 novembre e stavolta la release è stata confermata da tutti i network televisivi piu' importanti. Ci dovremmo essere, tant'è che la nuova band ha deciso di realizzare una tournèe mondiale che partirà alla fine del 2006. Insomma, un ritorno in pompa magna che però ha poco per esser tale. Gli anni ottanta sono finiti da un pezzo e la sola nostalgia spesso non sostiene un'ugola deficitaria ed un sound che si discosta troppo dai ruggenti tempi della "giungla". Da buoni vecchi fans speriamo di doverci ricredere...
simulescion3

mercoledì, novembre 01, 2006

The Darkness: searchin' for the lightness


Come molte volte succede nel mondo della musica, il secondo album è il più difficile da far accettare a critica e pubblico.
non sai cosa vuoi creare e qualora tu lo sappia non sai se piacerà o meno...Allora ci sono due strade da seguire:
o si segue la tendenza e si fa quel che si aspetta il pubblico (c'è chi ci ha costruito una carriera, vedi Luis Veronica Ciccone) o si dichiara il proprio menefreghismo attraverso un album magari orribile, ma esattamente fedele a quel che si voleva realizzare.
Come molte volte accade nella vita , in medio veritas, e i Darkness hanno dimostrato di conoscere questo detto abbastanza bene.
Oddio, sicuramente il loro secondo album non è un capolavoro, a livello di hit è sicuramente inferiore al primo e la ricerca di una classe che ancora non risulta naturale li ha portati forse ad eccedere in particolari e virtuosismi- compreso il particolare molto memorabilia di utilizzare il pianoforte dove Freddie Mercury incise Bohemian Rhapsody.
Questo non vuol dire che non sia un buon album.
Ci sono molte cose da considerare quando si ascolta un album, ed uno degli aspetti -tecnici- che sicuramente non si trascura è la produzione. Dicesi produzione ciò che, se usato in maniera oculata, può portare all’eccelso musicare nell’olimpo dei musicandi – vedi Brian Eno per U2 - .
Questa è stata una buona produzione, il suono è pulito anche nei pezzi più heavy, e anche se si eccede con le armonie di falsetto di Justin Sniff Hawkins il totale è di un album assemblato bene.
Il primo ha suscitato tanto clamore perché:
1- Era il primo..
2- Perché accontentava i puristi del rock con il solito sferragliare pressapochista ma anche i qualunquisti melodici con 5 hit di facile ascolto tra cui I believe in a thing called love e Friday night.
3- Chi erano questi col cantante in tutina?

Affinare però non vuol dire snaturare, per usare più strumenti mantenendo intatta l’intenzione della canzone bisogna saperli suonare, non assoldare strumentisti, se non per collaborazioni conclamate; infatti i beneamati Queen a cui erroneamente vengono accostati – je piacerebbe come dicono a Roma – non rischiavano di incappare nell’errore di eccesso di .. “classe” poiché loro stessi erano la classe! Brian May suonava si la chitarra, ma suonava anche il piano, il benjo, l’ukulele -…..- e l’arpa ( ! ) solo per citarne alcuni, e gli altri membri dei Queen idem.
Ora, se il primo album aveva quel percorso, bisognava seguirne le orme e lasciare un’impronta sempre più profonda…non deviare verso l’erbetta soffice.
Almeno secondo me. Per affinarsi c’è sempre tempo.
E per riprendersi anche, lo si dica a Justin, che in clinica di disintossicazione ha stretto amicizia con il fidanzato della Moss Pete Doherty – mi rifiuto di chiamarlo musicista -, non occorre sniffare per sentirsi una rockstar!!!
Scion

martedì, ottobre 31, 2006

La notte delle streghe



AUGURI DA SIMULESCION 3!! ........

mercoledì, ottobre 25, 2006

La memoria e la ricerca dell'originalità



Attraverso il ricordo del passato cambia l’attimo presente

Il cambiamento costituisce il fondamento della dinamica sociale e sebbene influenzata da un concetto materialista di progresso, la società non è mai stata statica. Essa è frutto di trasformazioni che si susseguono continuamente. E in essa ciò che muta in eterno ribollire sono le persone che la abitano, gli esseri umani e le loro singole minuscole esistenze. Quest’identità è un modo per categorizzare e per individualizzare, l'identità si riferisce alla percezione che ogni individuo ha di se stesso, cioè della propria coscienza di esistere come persona in relazione con altri individui, con i quali forma un gruppo sociale. Porsi di fronte a tale affascinante concetto, apre la mente verso una vastità di quesiti dalle interpretazioni più variegate. L’ossessione della ricerca è spesso sinonimo di volontà, il tentativo di ricreare in sé un’immagine che non vuol lasciarci andare e di cui siamo portatori “sani”. Ciò che abbiamo vissuto sfocia in un ricordo precisamente distinto di cui noi filtriamo gli elementi di maggiore intensità emotiva. Cosa comporta questo atteggiamento? Di sicuro ci mette dinanzi le nostre esperienze, in secondo luogo ci permette di vedere con nostalgica fiducia al futuro, ponendoci la sfida della ricerca dell’originalità, a volte oltre i limiti stessi dell’immaginazione.

Eternal Sunshine of the Spotless Mind (Se mi lasci ti cancello, 2004) ne è l’esempio lampante. Il testo di Alexander Pope citato dal titolo consegna alla parola scritta il compito di racchiudere, conservare e tramandare il senso di una grande storia d'amore. La parola sembra essere l'unica chiave di salvezza in un mondo in cui i ricordi si confondono e poi scompaiono mentre sfumano le immagini stesse che li raccontano. Infatti, nel baratro di memoria e “smemorizzazione” in cui sprofonda Joel, non è possibile uscire senza affidarsi al variegato utilizzo delle parole. Si accavallano e s’intersecano pensieri su come affrontare diversamente ogni aspetto delle nostre giornate, come aumentare la ricettività del cambiamento inteso come prospettiva di scegliere, attraverso l’ingegno e la magia dell’istinto. L’urgenza di cogliere dal turbine del passato i momenti migliori diventa il passepartout per apprendere con efficacia sostanziale le novità del futuro. Essere spinti sempre e continuamente ad un tentativo di liberazione dallo standard quotidiano verso una distinzione individuale, è il motivo per cui bisogna far tesoro della memoria.

E poi superarla, andare oltre. Dare un movente a quel CAMBIAMENTO, recepito come passaggio dalla propedeuticità narrativa, all’esigenza di una sua realizzazione concreta (specie in ambito cinematografico), si stacca dal classicismo esistenziale, rimanendo comunque tra le righe e mantenendo una impronta propria: ricreare uno stile alternativo in cui si riconosce la soggettività dell’autore. Eternal Sunshine parla, ad una lettura più profonda, anche del cinema. I ricordi, sempre più sfocati, come spesso appaiono nella realtà delle menti umane, non sbiadiscono mai, ma tendono a svanire del tutto nel bianco assoluto dell’oblio mnemonico. Il film esalta i poli opposti, le due estremità di pensiero che rappresentano i protagonisti, Joel (Jim Carrey) e Clementine (Kate Winslet). Il primo attaccato al ricordo ossessivo di lei, incapace di superare l’abbandono e richiuso in se stesso, così convinto da cercare di nascondere la memoria di Clementine, nonostante questa gli provochi solamente disperazione. Lei, invece, insofferente e attanagliata dalle ansie del passato, decide di farsi cancellare dalla mente la loro relazione, per poi rimanere allibita di ciò che ha fatto. In mezzo, la continua ricerca di una singolare identità che li distingua dagli altri, che elevi quel rapporto ad un bisogno sfrenato di personale condivisione. Una struggente e originalissima love story diretta con sapiente visionarietà da Michel Gondry, in cui i personaggi (ma anche ognuno di noi, non solo gli spettatori) ritrovano un’equivalenza nel proprio raffrontarsi col passato e nello scoprire un domani in prospettiva migliore, una prospettiva che però ha bisogno di esser continuamente ricercata e mai data per scontata. Eternal Sunshine, perciò, non è solo una riflessione sulla vita di coppia. E' intessuto nel film anche un motivo più profondo nonché più kaufmaniano (dal nome dello sceneggiatore, Charlie Kauffman), ossia l'analisi dell'importanza della memoria che sfata lo slogan stesso del film: beati gli smemorati perché avranno la meglio anche sui propri errori. Il tempo scorre e spinge alla ricerca di una soddisfacente peculiarità, al fine di trovare un’identificazione individuale nella rievocazione di un istante. Da qui, il ricorso ad un’imposizione costrittiva della nostra memoria, in quanto partecipante attiva e conseguentemente eterna delle nostre azioni. Nel bene o nel male. Possiamo vivere alla giornata, voltare pagina senza rimpianti quando vogliamo imprimere nuovo slancio alla parabola della nostra esistenza, possiamo pensare al futuro, ma non potremo mai rinnegare il passato. L’originalità sta proprio nel non dimenticarlo.

Senza memoria non sceglieremmo il futuro.

SimOne

sabato, ottobre 21, 2006

Festa del cinema di Roma: vince "Playing the victim"


ROMA - Nella migliore tradizione italiana - sperimentata, e più volte, alla Mostra di Venezia - a vincere la prima edizione della Festa capitolina è un film che pochi giornalisti, e critici, hanno visto e commentato: si chiama "Playing the victim", lo ha diretto il russo Kirill Serebrennikov, è una una black comedy sospesa tra vita e morte. Una sorta di adattamento di Amleto in chiave tutta contemporanea, almeno nelle intenzioni dell'autore. Un risultato che mostra come una giuria popolare - composta da cinquanta membri, e guidata da Ettore Scola - possa prendere decisioni non scontate, e decisamente cinefile. Per nulla sbilanciate, per una sorta di campanilismo involontario, a favore delle pellicole italiane. Quelle che, diciamo così, giocano in casa. Questo però non vuol dire che il cinema italiano resti a bocca asciutta. Visto che, dei quattro premi ufficiali - miglior film, interpretazione maschile, interpretazione femminile, riconoscimento speciale della giuria - il nostro Paese ne conquista uno: merito di un veterano come Giorgio Colangeli, che per il suo ruolo di padre detenuto, e assassino, in "L'aria salata" di Alessandro Angelini (con Giorgio Pasotti coprotagonista) viene eletto miglior attore. Mentre la migliore attrice è la brava Ariane Ascaride, che in "Le voyage en Erménie", diretta da un autore tipicamente festivaliero come Robert Guédiguian, è una figlia alla ricerca del padre gravemente malato, nella sua terra d'origine. Completa l'albo d'oro il premio speciale della giuria assegnato a quello che è stata forse l'opera più amata, da pubblico e critici: "This is England" di Shane Meadows, storia di un ragazzino che si unisce a un gruppo di skinhead nell'Inghilterra anni Ottanta. Un film troppo amato, per poter essere ignorato dalla giuria. Questi i riconoscimenti ufficiali, le statuette "Marc'Aurelio" create appositamente per l'occasione da Bulgari. Ma ci sono anche tre premi colleterali interessanti, che meritano senz'altro una citazione. A partire dal Blockbuster, sponsorizzato dalla nota catena di vendita homevideo, e assegnato da un'altra giuria popolare (venti grandi consumatori di dvd) presieduta dal regista Giovanni Veronesi. Lo scopo era segnalare la miglior pellicola della sezione più patinata e ricca di star della Festa, ovvero Premiére: a vincere è Giuseppe Tornatore, col suo "La Sconosciuta". Un altro buon risultato, per il cinema italiano. E sempre di opere made in Italy si parla nel secondo dei premi collaterali, consegnato dal L. a. r. a. (la Libera associazione dei rappresentanti degli artisti), scelto tra tutti i film di casa nostra, sparsi nelle varie sezioni della manifestazione. Ebbene, alla fine a vincere è Ninetto Davoli, degente in ospedale accanto a Fabio Volo in "Uno su due" di Eugenio Cappuccio (inserito nel cartellone Premiére). Infine, il premio Cult al miglior documentario va a "Deep water" di Louise Osmond e Jerry Rothwell. Tutti questi riconoscimenti sono stati assegnati nel corso di una cerimonia che si è svolta questa mattina nella Sala Santa Cecilia dell'Auditorium, preceduta dal concerto di chiusura della Festa diretto da Antonio Pappano. Una mattinata cominciata con una dura contestazione dei fotografi, che accusano l'organizazzione di non essere messi in condizione di lavorare. Il momento più toccante, invece, è quando alla vedova di Gillo Pontecorvo, Picci, viene consegnato un premio alla memoria del marito: in sala, tra pubblico e critici, emozione e applausi.

lunedì, ottobre 16, 2006

Annuncio

Ragazzi il qui presente Scion cerca una nuova band per progetti seri e - perchè no?- ambiziosi, con cover rock & roll e melodico e anche canzoni proprie (io ne ho già scritte un pò..). Ho studiato canto con un maestro e come timbro e registro sono tenore, fate un pò voi.
Per chi fosse seriamente interessato lasciare un post qui sul sito e magari un num di cell, che lo ricontatterò a breve.
Grazie,


Scion

PS. Naturalmente la band deve essere di Roma, in quanto vivo, dimoro e lavoro qui!

sabato, ottobre 14, 2006

MUSICA: The Boss con la Seeger Sessions Band



Dopo tre mesi di pausa la Seeger Session Band è nuovamente in viaggio. Con le date di Bologna e Torino è partito il tour italiano che ha toccato sette città in dieci giorni. Ad un anno e mezzo di distanza Bruce Springsteen torna a Roma, la tappa italica del Boss si inserisce in una tendenza ormai consolidata sul piano internazionale, che vede in Springsteen non solo il più eloquente rocker del nostro tempo, ma anche un narratore di storie profonde e un testimone critico, una voce indipendente dell'America migliore. Il rocker ha parlato, al termine del sound check pomeridiano. Lo fa spiegando «American Land», l'inedito inserito nella nuova versione di "We shall overcome" album-progetto dedicato alla riscoperta dell'opera dell'eroe del folk Pete Seeger. «È una canzone sugli immigrati, un argomento — dice lui, pieno di collane e braccialetti di corda e in immancabili jeans — sempre presente nella storia statunitense. Mi ricordo che quando ero ragazzo c'erano molti operai e raccoglitori di patate afroamericani, ma anche italiani. Oggi abbiamo meticci e messicani. Ma è sempre la stessa storia: una lotta per affermarsi e trovare spazi. "American Land" parla anche di irlandesi. E per me, metà italiano e metà irlandese, funziona benissimo».
(intervista de Il Corriere della Sera, da www.badlands.it)

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mercoledì, ottobre 11, 2006

CINEMA: The Black Dahlia

L’intensità della messa in scena ammalia lo sguardo. Col suo ultimo lavoro Brian De Palma si conferma un maestro nel portare sul grande schermo il noir d’autore, e che autore. Addirittura James Ellroy, dal cui romanzo è stata trasportata abbastanza fedelmente la storia della Dalia Nera, The Black Dahlia, vecchio caso tutt’ora irrisolto che ha ossessionato lo scrittore per oltre quarant’anni. Ellroy vedeva analogie nel caso dell’attricetta brutalmente uccisa nella Los Angeles degli anni quaranta, con quello di sua madre, anch’essa assassinata. Proprio qui entra in scena l’impianto filmico, De Palma ci trascina in un mondo di perdizione e ormai antichi valori, quella Hollywoodland, così cambiata nei decenni, ma rimasta la stessa nel profondo dell’anima.
Le atmosfere torbide che accompagnano la voce off del detective Bleichert, raccontano in immagini una città nella quale si consumano crimini efferati e violenze d’ogni sorta, richiamo alla nascita di una metropoli degna di Howard Hawks che si sente al centro del mondo e attorno a cui tutto ruota in modo disincantato. The Black Dahlia è un intreccio esaustivo e ben costruito, un noir a cui però manca la sua vena più dark nel esprimere un intrigo che paradossalmente affascina meno della retorica stessa che vorrebbe narrare. La storia si perde nel momento in cui non riesce a dare sostanza al ritmo del racconto, creando quel senso di mancanza, grave per un plot di questo livello. A sostegno di tale tesi sono le interpretazioni degli attori (tra i quali si salva la sempre brava e qui affascinante Hilary Swank), piuttosto superficiali per l’intera pellicola o addirittura sopra le righe. Se calcoliamo che alla resa, di fronte ad un plot letterario colmo di percorsi secondari, depistaggi, ambiguità traducibili solo grazie al potere immaginifico della parola scritta, era già stato costretto David Fincher, ci facciamo un’idea di come ci si possa perdere tra le pagine del romanzo. Nonostante questo, il De Palma regista si fa ammirare in tutta la sua maestria, con piani sequenza e scene d’antologia, adducendo al film il suo tocco sublime da navigato mestierante e fuoriclasse della macchina da presa, che però gira a vuoto all’interno di un copione davvero di difficile interpretazione. Se De Palma ricalca esaustivamente il patinato universo hollywoodiano, diviso equamente tra starlette, investigatori e giornalisti, minore è il suo apporto nello sbrogliare i nodi del racconto, a partire dalla vicenda di Mr. Fuoco (Aaron Eckhart) e Mr. Ghiaccio (il protagonista, Josh Hartnett), due agenti di polizia ed ex-pugili uniti da una forte amicizia e dall’amore per l’attraente Kay Lake (Scarlett Johansson). I detective, che vivono e respirano nel sottobosco della L.A. anni ’40, rimangono ossessionati dal ritrovamento del cadavere della Dalia Nera, aspirante attricetta e prostituta occasionale, orrendamente mutilato e abbandonato in un campo. Le cose si complicano quando Bucky, nel corso delle indagini, si imbatte nella misteriosa Madeleine Linscott, ambigua dark lady curiosamente somigliante alla Dalia, con la quale intreccerà una torbida relazione che avrà ripercussioni sull’intera vicenda. La ricostruzione puntuale della Hollywoodland scintillante e grondante di promesse disattese, opera del nostro premio Oscar Dante Ferretti, e le cupe ambientazioni che dominano la maggior parte delle scene, rappresentano le componenti più suggestive di un film complesso da definire che non soddisfa sino in fondo, nonostante il tentativo del regista di citare il suo cinema più grande, accompagnando visivamente quel dramma di vite spezzate dagli interessi dell’egoismo umano. Mescolando tutti gli ingredienti in un maestoso calderone di sequenze e dialoghi impegnati, The Black Dahlia alla fine appare come un’opera estremamente ben confezionata a cui però manca il lato più suggestivo, una sorta di linearità che si perde nella confusione dei moventi gettati in pasto allo spettatore. Come se all’insieme del film mancasse una parte della pellicola, come se avessimo uno spezzone incompleto dai cui fotogrammi ci apparisse nuovamente il volto seducente di Elizabeth Short, per trasmetterci il suo senso di inquietudine. Una sensazione così struggente, beffarda e infinitamente degna della Dalia Nera.
SimOne

domenica, ottobre 08, 2006

BASKET: Virtus Roma 93 - Phoenix Suns 100


Abbiamo assistito con i nostri occhi ad uno spettacolo e ne siamo rimasti estremamente soddisfatti. La NBA è questo, uno show all’interno del grande palcoscenico della pallacanestro. Era dal lontano 1989, tempi del Mc Donald’s Open che in Italia non arrivava una franchigia della National Basketball Association, ma l’altro ieri di fronte ad un Palalottomatica strapieno, la Virtus Roma ha affrontato e perso onorevolmente contro i Phoenix Suns (squadra al vertice della Lega) guidati da coach Mike D’antoni, che schierava in campo solo due del trittico delle meraviglie: Steve Nash (2 volte MVP), Shawn Marion e Stoudemire. Quest’ultimo, dopo l’intervento al ginocchio che gli ha fatto saltare un intero anno, lasciato precauzionalmente in panchina, a meno di un mese dall’inizio della regular season 06-07. Lo Europe Live Tour a Roma, coinciso nemmeno troppo fortuitamente con l’ingresso nella lega professionistica americana di Andrea Bargnani e voluto fortemente dal sindaco di Roma Veltroni e dal commissioner della NBA Stern, ha portato grande entusiasmo nella capitale, la cui enfasi cestistica è stata pari ai fischi rivolti alle pessime decisioni arbitrali che hanno alzato la temperatura nel palazzetto, nonostante l’amichevole e lo sfoggio di grande spettacolo portato dai soli dell’Arizona, team che per l"occasione ha sfoggiato un tricolore sulle maglie da gioco. Il match: le stelle NBA vogliono la vittoria, Hawkins e Bodiroga vogliono invece regalare spettacolo al pubblico, anche se per il canestro bisogna ripassare più tardi. Meglio Giachetti in cabina di regia e Moiso in post basso, ma il potenziale da fuoco dei Suns è troppo e così la Virtus si è arresa, giocando e divertendosi, tra un intermezzo e l’altro delle cheerleader arancioviola. Tra un time out e l’altro anche la standing ovation per Bill Russel, ex centro difensivo dei Boston Celtics, vincitore di 11 titoli NBA in 13 stagioni, acclamato dal pubblico e comodo in tribuna a godersi lo spettacolo. Proprio così, nonostante qualche eccessivo momento di silenzio (il basket non è purtroppo il calcio in Italia) l’incontro tra i Suns e la Lottomatica doveva essere una festa per tutti gli appassionati e così è stata. Sino in fondo alla retina.

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mercoledì, ottobre 04, 2006

Festa romana del Cinema!



Arriva a Roma, dopo varie polemiche, la 1° Festa Internazionale del Cinema, che si avvarrà attraverso un concorso da vero festival della presenza di numerose star, ma anche di quei divi che sono in ascesa: per 10 giorni si respirerà aria di celluloide qui in città...


LE SEZIONI DELLA FESTA:

Cinema 2006: opere inedite di autori di tutto il mondo. Una giuria popolare di cinquanta spettatori (tra cui SimOne), coordinata da Ettore Scola, assegnerà il premio per il miglior film – con un riconoscimento di 200.000 Euro – oltre a quelli per la migliore interpretazione femminile e maschile. La sezione comprende film in Concorso e Fuori Concorso. Le proiezioni ufficiali si svolgeranno nella Sala Sinopoli dell’Auditorium.

Première: serate di gala dedicate a grandi anteprime internazionali alla presenza dei loro protagonisti, autori ed interpreti, coinvolti in un dialogo pubblico sul mestiere del cinema. Le proiezioni ufficiali si terranno nella Sala Santa Cecilia dell’Auditorium.

Eventi Speciali: uno spazio particolarissimo alla celebrazione di quel cinema che, pur mantenendo intatta una forte impronta autoriale, si offre al pubblico assumendo le forme più amate dagli spettatori, sfiorando il cinema di genere per raccoglierne gli elementi più appassionanti, raccontando storie avvincenti e dense di emozioni.

Extra: sezione multiforme che riunisce lavori diversi per formato e linguaggio ma con una comune attitudine alla sperimentazione. Dai documentari alle opere che sconfinano nella videoarte, dall´animazione in computer grafica al panorama videomusicale. Le proiezioni si terranno nella Sale Petrassi e Teatro Studio dell’Auditorium.

Alice nella Città: un “festival nel festival” per gli spettatori più giovani, bambini e adolescenti. I film in concorso sono divisi in due categorie: “K12”, per ragazzi dagli 8 ai 13 anni e “Young Adult” per piccoli adulti dai 14 ai 17 anni. Le proiezioni ufficiali si svolgeranno nelle Sale Sinopoli e Petrassi dell’Auditorium.

Il lavoro dell’Attore: omaggio ai grandi protagonisti dell’arte della recitazione, un percorso dedicato ad una scuola d’interpretazione fatto di film, laboratori, workshop e incontri, ma anche un omaggio dell’intera città di Roma all’arte di un grande attore contemporaneo. Due le retrospettive: Omaggio a Sean Connery. Festa del Cinema Acting Award 2006: tredici film interpretati da Connery e scelti dall’attore insieme alla direzione della Festa e The Actors Studio, gli anni ’50, una selezione dei migliori film prodotti dalla scuola di recitazione Actors Studio.

New Cinema Network: In collaborazione con il Tribeca Film Festival, undici opere prime. Non solo una sezione ma anche un progetto: realizzare un circuito che aiuti alcuni talenti del nuovo cinema indipendente a trovare i finanziamenti per il loro secondo lavoro. Le proiezioni ufficiali si svolgeranno nella sala del Cinema Metropolitan.

Marcello Mastroianni: la Casa del Cinema omaggia Marcello Mastroianni a dieci anni dalla sua scomparsa con una retrospettiva composta da 47 film interpretati dal grande attore. Ogni sera, dal 12 al 21, le proiezioni verranno introdotte da attori e registi che hanno lavorato con Mastroianni.

Serate Italiane: la Festa di Roma intende segnalare con una rassegna alcune opere assolutamente inedite del nuovo cinema italiano, proponendo una vetrina pensata appositamente per fare incontrare gli autori con il loro pubblico naturale. I film previsti per questa rassegna sono: Ayity Namken di Claudio Del Punta, Cover Boy: l´ultima rivoluzione di Carmine Amoroso, Saremo film di Ludovica Marineo, Sfiorarsi di Angelo Orlando e Un amore su misura di Renato Pozzetto.


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giovedì, settembre 28, 2006

Qualcosa è cambiato?! - parte 2°


(eccomi durante l'intervista al premiato regista di Un Amore, Gianluca Maria Tavarelli)


Un gruppo eterogeneo di aspiranti critici cinematografici, diversi per età, cultura, gusti ed esperienze si è messo con impegno per organizzare in questo mese di settembre una rassegna cinematografica che riflette sul cinema del cambiamento.
“Qualcosa è cambiato?!” è il titolo di questo minifestival organizzato dai Critici Selvaggi in programma dal 21 al 1 di ottobre presso il Circolo degli Artisti (via Casilina Vecchia, 42 tel. 06.70305684), inaugurato la scorsa settimana dagli interventi del regista (presente anche all’ultima Mostra di Venezia) Gianluca Maria Tavarelli e dai fondatori della scuola di Cinema Sentieri Selvaggi di Roma, prima della proiezione di Un Amore dello stesso Tavarelli e del corto di Chris Marker, La Jetee.
Perchè “Qualcosa è cambiato”? Perchè qualcosa prima o poi cambia sempre e comunque; perché tutto attorno a noi - e in noi - è un work in progress continuo. Perché da tutti i vari punti di vista possibili e immaginabili (e potrebbero essere infiniti, provateci) il cambiamento è un'urgenza che tocca da vicino ognuno di noi, chi più chi meno, indipendentemente da età, esperienza di vita, pensiero politico, situazione socio-economica, livello culturale e così via...
Il cambiamento e lo scorrere inarrestabile del tempo unito alla continua ed estenuante ricerca (intesa a 360°) è un'urgenza comune e sentita da molti. Con le sue mille e più sfaccettature e sfumature, il cambiamento ci attraversa - e ci cambia appunto. A volte neanche ce ne accorgiamo, a volte invece ne siamo travolti nostro malgrado; altre ancora lo aspettiamo con ansia ma non arriva; altre, infine, si rivela essere solo un'illusione momentanea. E poi può accadere che un gruppo di sconosciuti, divisi da mille barriere (età, pensiero politico, cultura, gusti ed esperienze), si incontrino - o scontrino, dipende sempre dai punti di vista - per caso o per fatato destino, senza essersi scelti o cercati ma essendosi semplicemente trovati. Indifferenti e sospettosi l'uno verso l'altro , poi col tempo - a dimostrazione che è proprio il tempo a muovere i fili di ogni mutamento - l'avvicinamento.
Il programma che proseguirà nelle serate del 29 e 30 Settembre per terminare con la serata di Domenica 1 Ottobre, riserva comunque piacevoli sorprese con una non comune scelta di opere non facilmente reperibili su grande schermo, insomma un’opportunità per chi vuole riscoprire o vedere per la prima volta film che da tempo non si trovano più al cinema o non vi sono mai passati.

SimOne

sabato, settembre 23, 2006

BASKET: In principio fu il jump shot


Il povero ragazzo non sapeva più che pesci prendere.
Nonostante avesse una visione di gioco fuori dal comune e la capacità di eseguire splendidi passaggi, quel maledetto difetto non riusciva ad eliminarlo, e c'è da dire che si allenava per farlo.
Anche quando entrò nella lega alcuni continuavano a chiamarlo Ason, invece che Jason, e fu soltanto anni dopo che uno dei più grandi playmaker nella storia dell' NBA riuscì a riappropriarsi della J... la J di Jump Shot, il tiro in sospensione.
Jason Kidd è soltanto il caso più eclatante di come la mancanza di un fondamentale possa perseguitarti nonostante magari tu sappia fare tutto il resto (punti rimbalzi assist difesa), così come Kidd sa fare ( l'aneddoto è ripreso dalla canuscenza cestistica di Federico Buffa, guru del basket). Il tiro in sospensione signori, è la sintesi suprema di come una persona sia predisposta al basket; vale a dire la sua inclinazione, il suo modo di viverlo e il suo modo di concepirlo.
Se sono perfetto stilisticamente e dalla dinamica infallibile (Ray Allen) vuol dire che la buona esecuzione per me vuol dire successo, e mi adopero per questo; se invece mi invento un mio modo di eseguire perchè convinto che segnerò a raffica (Reggie Miller), quasi me ne frego dello stile..a me interessa solo segnare.
Se infine riesco ad unire la meccanica omicida con lo stile sontuoso allora mi chiamo Michael Jordan o Kobe Bryant.
That 's it ladies and gentlemen, niente di più e niente di meno... il tiro in sospensione una volta era come il rimbalzo: dominava la partita. Ecco perchè chi ormai è dotato del classico middle range, quindi dai 4 e 5 metri, può permettersi in talune partite ( se è la sua arma più forte..tipo Rip Hamilton ), o in tutte le partite ( Kobe Bryant ) di salire in cattedra e dare la buonanotte a tutti, qualora si parli di ripetute prove di efficacia, non di sporadiche esibizioni balistiche.
In alcune partite può capitare di vedere anche i più collaudati sistemi di gioco vacillare difronte ad una difesa aggressiva, e mentre osserviamo rapiti il dramma di giocatori impantanati in una zonaccia 3-2 con magari un lungo atipico in punta a rompere i maroni ai tiratori, eccolo li a volte, spuntare come per magia l'uomo che rispetto agli altri non parla solo la lingua del tiro da tre o del tiro nel traffico, ma sa dire anche " jump shot "!! Inutile dire che l'allenatore sbava letteralmente nel vedere il Nostro che infila un jump shot dopo un altro, e proprio non c'è nessun aggiustamento difensivo che tenga, che lo si lasci tirare o ci si infili nei suoi pantaloncini con una box and one, quando hai la terza dimensione del middle range sei praticamente imbattibile...e se hai dalla tua anche il dono del "on fire", cioè il giocatore da striscia, ecco là che l'allenatore stappa lo spumante in panchina, scambiando un tuo compagno seduto a giocare a briscola per una playmate di Hugh Heffner. Avevo un allenatore una volta che amava ripetere " ragazzi il basket è semplice, siete voi che lo complicate ", il modo in cui lo diceva non era esattamente questo..c'era qualche "porca troia " di mezzo, ma il succo resta: il basket è semplice.
Ed è più semplice imparare a tirare dai 4 metri che dai 6,25 o dai 7,15...questo poco ma sicuro!
Così se avrete mai una J nel vostro nome state sicuri che la pronunceranno sempre.

Scion

mercoledì, settembre 20, 2006

CINEMA: La Hollywood del mito

TRA STORIA E ATTUALITA’...

Finché non gli arrivi di fronte, non ti rendi bene conto della sua importanza. La scritta giganteggia sulla collina, affacciandosi maestosa sulla città degli angeli. Hollywood rappresenta molto più di quello che rivela a prima vista: da decenni ormai cela con la sua insegna protettiva, ogni traversia affrontata dalla fabbrica dei sogni. I film, infatti, sono ciò che ha permesso a Los Angeles di venire alla luce. Interi capannoni costruiti nel deserto della California, divenuti, per il loro appeal economico, prima industrie, poi quei grandi studios destinati a cambiare il volto della realtà su pellicola. Così quando ad est della città rimani ad ammirare ciascuna delle nove enormi lettere, viene naturale riflettere sul cinema come pura forma d’arte, la settima.
Tale definizione non potrebbe esser più appropriata se pensiamo a come appare Los Angeles oggi. Una metropoli priva di alcun fascino urbano ed architettonico, che emana una ricchezza che non gli appartiene più, il riflesso aureo della stagione dei grandi divi. Dal monte Olimpo, osservandola bene si capisce che lo spropositato benessere deriva essenzialmente dal turismo, attirato da entusiasmi da fiction e dalle magnifiche spiagge oceaniche, ossia tutto ciò che L.A. può offrire. Il glamour, il kitsch e il barocco fanno parte di una superficie patinata, che tenta di nascondere il poco che vi rimane sotto. Perché un poco c’è, a partire dai lunghi e famosi vialoni (il Sunset e il Santa Monica boulevard), agli effervescenti quartieri da soap (Bel Air, Beverly Hills), per arrivare al prestigioso college universitario (Ucla). Ma poi? Il discorso, dunque, torna sempre all’origine ed è qui che troviamo il merito: dal niente si è arrivati a questo, dal deserto si è costruita per necessità l’immagine esatto contrario di ciò da cui essa dipende, il cinema appunto. Dove esiste veramente quella magia che ciascuno si aspetta, che è la possibilità di incontrare un attore mentre fai shopping od assistere alla celebrazione del settantenario del più amato personaggio Disney, mentre cammini lungo la Walk of Fame. E per chi come me è un amante del grande schermo, va da se che il cuore pulsante del cinema si trova proprio qui, a partire dall’incrocio tra LaBrea e l’Hollywood boulevard.
Per rendere accessibili ai terrestri gli immensi set che circondano Los Angeles, gli studios da qualche anno promuovono visite guidate al loro interno, cercando così di placare l’avida sete dei curiosi turisti. Nonostante i prezzi siano appropriatamente alle stelle, il flusso di pellegrinaggio è continuo. Visitare la Warner Brothers, la Paramount o la Columbia, però, non è come andare al parco giochi, come peraltro propone la Universal. Infatti il giro, della durata di un paio d’ore, può risultare monotono e talvolta noioso, specie se le guide all’interno del parco, si esaltano per un nonnulla (vedi “cicca di sigaretta per terra fumata da Humphrey Bogart”) o con tutta la naturalezza del mondo ti dicono, indicando un complesso di edifici, che la Gotham City di Batman è la stessa Chicago del telefilm E.R. Ma questo fa parte della messinscena di celluloide, perché come capita sempre più spesso anche da noi, i serial tv ormai stanno prendendo il sopravvento sulla produzione filmica. L’altro aspetto, che però ai più sfugge, è la costosa impresa che equivale a girare un film, di cui i set non sono altro che le ceneri primordiali, i cantieri dove l’arte prende vita. A questo punto della riflessione, qualcuno potrà sentirsi scoraggiato, decidere che poi il cinema in Italia non è poi così messo male, sentir vacillare le proprie convinzioni in materia.
Già, qualcuno, ma non la maggior parte delle persone, perché ci sono ancora molti che, nonostante sappiano quali siano le regole del gioco, hanno (giustamente) voglia di lasciarsi trasportare dalla fantasia, sentirsi liberi e felici dietro lo schermo.
E’ proprio per questo non si interromperà mai il flusso dei visitatori laggiù nel deserto e per questo motivo non si esauriranno mai le file davanti ai botteghini. Perciò se chiedessimo a una persona qualunque quale sia il suo tempio cinematografico, non dovremmo stupirci se la risposta fosse la solita, se senza pensarci ci dicesse Hollywood: è solo lì che la realtà incontra l’immaginazione.

SimOne

sabato, settembre 16, 2006

Ragione causa dell'evoluzionismo

....digressioni...

“Io ho bisogno di credere che qualcosa di
straordinario sia possibile...!”
(A beautiful mind, 2001)


Origine dell'universo: evento postulato dalla teoria cosmologica standard a cui si fa risalire la comparsa della materia e dell’energia esistente. Tale energia è evoluzione, continuo ed indissolubile cambiamento. Porre a terra i limiti dell’immaginazione significa esplorare le teorie della secolare conoscenza umana.

Kant elaborò tale chiave di volta nella sua Critica della ragion pura (1781). In quest’opera egli esaminò i fondamenti e i limiti della conoscenza umana per delineare un approccio epistemologico capace di legittimare razionalmente le conquiste della scienza moderna. In modo simile ad alcuni filosofi precedenti, Kant differenziò le modalità del pensiero in giudizi analitici e giudizi sintetici. In essa Kant afferma che è possibile formulare giudizi sintetici a priori (Ogni cambiamento ha una causa), ossia giudizi fecondi dal punto di vista conoscitivo, ma nel contempo universali e necessari. Questa posizione filosofica è comunemente nota con il nome di “criticismo trascendentale”. Descrivendo il modo in cui questo tipo di giudizio è possibile, Kant distinse tra i "fenomeni"(dal greco phainómenon, ciò che appare), vale a dire gli oggetti per noi, in quanto sono conosciuti dall'uomo e si collocano nel mondo dell'esperienza sensibile, e le cose in sé, cioè gli oggetti considerati a prescindere dalle modalità in cui appaiono e sono visti dal soggetto conoscente.

L’approccio a queste considerazioni non può che rivelarsi logico e necessario in rapporto al pensiero che nella ragione dei lumi, il raziocinio dell’essere pensante (il simbionte cognitivo) assume i contorni di un velo da superare e ammettere.

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giovedì, settembre 14, 2006

MUSICA: Gli Aerosmith di nuovo on stage


Quando Joey Kramer, il batterista appena aggiunto al gruppo propose di diventare un “mito dell’eros” furono in pochi quelli a dargli retta. Era il 1970 a Boston, l’anno in cui, dalle ceneri della Jam Band e dei Chain Reaction, nacquero gli AEROSMITH. Steven Tyler, Joe Perry e soci vantano una carriera lunghissima e soprattutto l'ingresso nella Rock and Roll Hall of Fame. Prima del loro esordio nel 1973 con l’album omonimo hanno consolidato il gruppo suonando nei locali e dormendo tutti nella stessa stanza di un hotel. Hanno raggiunto lo status di greatest rock band con brani che uniscono Rhythm and Blues con Hard Rock d’autore. Dopo la malattia di Steven Tyler, stavolta ad avere a che fare con la cattiva sorte è Tom Hamilton, il bassista della formazione, a cui hanno diagnosticato un tumore alla gola. Hamilton ha già completato il primo ciclo di cure e starebbe relativamente bene ma il suo posto nella line-up, per la parte iniziale del tour congiunto con i Motley Crue, sarà preso da David Hull, amico di Joe Perry. Il tour del nordamerica (come sempre, quando mai in Europa?? Tanto i giapponesi di rock non capiscono nulla…) “Route of all evil” degli Aerosmith inizierà dal New Jersey il 14 settembre. Contemporaneamente, e in attesa del nuovo album, gli Aerosmith pubblicheranno un nuovo best of il prossimo 16 ottobre, che conterrà due brani inediti, intitolati “Devil's Got A New Disguise” (il titolo dello stesso best) e “Sedona Sunrise”, versione rimasterizzata di una demo registrata ai tempi di Pump (1989).

«Il nostro segreto? Fottercene di tutto e di tutti...! Delle mode, dei trend, e delle band messe insieme da manager e case discografiche. Ma chi se ne frega! Tanto quando loro saranno alla frutta, noi saremo ancora in giro per il mondo a riempire gli stadi!»
Sappiamo bene quant'è vero. AlwaysAerosmith

SimOne

domenica, settembre 10, 2006

Venezia .63

Leone d'Oro al cinese Jia Zhang-Ke con il suo "Still Life"

Al termine della 63esima edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, ecco l'elenco completo dei premi assegnati:

LEONE D'ORO Jia Zhang-ke per Still Life
LEONE D'ARGENTO PER LA MIGLIOR REGIA Alain Resnais per Private Fears in Public Places
LEONE D'ARGENTO SPECIALE COME RIVELAZIONE DEL FESTIVAL Emanuele Crialese per Nuovomondo
PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA Mahamat-Saleh Haroun per Dry Season
COPPA VOLPI PER LA MIGLIORE INTERPRETAZIONE MASCHILE Ben Affleck per Hollywoodland
COPPA VOLPI PER LA MIGLIORE INTERPRETAZIONE FEMMINILE Helen Mirren per The Queen
PREMIO MARCELLO MASTROIANNI A UN GIOVANE ATTORE O ATTRICE EMERGENTE Isild Le Besco per The Untouchable
OSELLA PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA Peter Morgan per The Queen
OSELLA PER IL MIGLIOR CONTRIBUTO TECNICO Emmanuel Lubezki per I figli degli uomini("Per la miglior fotografia")
PREMIO LUIGI DE LAURENTIIS PER UN’OPERA PRIMA Jessica Woodworth e Peter Brosens per Khadak
PREMIO ORIZZONTI Liu Jie per Mabei shang de fating
PREMIO ORIZZONTI DOC Spike Lee per When the Leeves Broke. A Requiem in Four Acts
LEONE D'ORO ALLA CARRIERA David Lynch

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venerdì, settembre 08, 2006

CINEMA: Slevin - Patto criminale


Non sempre puntare sul cavallo vincente porta bene. Specialmente se il cavallo in questione si chiama Slevin, come il Josh Hartnett protagonista del film diretto dal sottovalutato regista scozzese Paul McGuigan. E il prologo di Lucky number Slevin affina con denso rigore questa regola non scritta. Patto Criminale, il sottotitolo italiano, è un perfetto meccanismo ad incastri, dove il noir riscopre il pulp e fondendosi assieme generano un gangster movie riveduto e corretto alla maniera moderna. Lontano dai soliti appellativi tarantiniani, etichette appiccicate ad un genere che partendo dal capostipite (Quentin) ha dimostrato di nutrire una notevole schiera di autori, l’opera di McGuigan appare lo specchio di un genere narrativo che fa della vendetta la sua portata principale.
L’uomo sbagliato al momento sbagliato è solo un pretesto per introdurre lo spettatore in un vortice di equivoci e situazioni al limite del farsesco che seducono e ammaliano, attraverso il forte charme emanato dai grandi interpreti della pellicola. Quelli sì, ognuno al proprio posto, dal sicario Willis, al boss Freeman, dal rabbino Kingsley alla coroner Liu, fino allo sventurato protagonista, un apprezzabile Hartnett. Il film ha due anime, il cuore e il cervello, separate nettamente come lo scorrer del racconto, che prima distoglie l’attenzione e poi affonda la sua lama noir nella morbosa curiosità di chi osserva stupito la mossa "Kansas City": ti volti da una parte, mentre ti fregano dall’altra. Ovviamente tutto ruota attorno ad un plot estremamente coinvolgente e quantomeno grottesco, che partendo da un campo lunghissimo di un comune aeroporto a stelle e strisce prosegue con lo scambio d’identità di un ragazzo, Slevin appunto, che vedrà la sua vita deragliare verso circostanze composte da momenti drammatici ed altri prettamente ironici e tipici del pulp d’autore.
Il giovane talento Jason Smilovic, autore di alcune apprezzate serie tv made in USA, firma la sceneggiatura di questo thriller originale e dal colpo di scena in agguato, il quale punta molto sul magnetismo dei dialoghi serrati. Flashback ed eventi in tempo reale si contrappongono con sorprendente efficacia, ogni piccolo dettaglio filmato è un elemento chiave servito allo spettatore col gusto del poliziesco anni cinquanta a cui si ispira dichiaratamente: quell’Intrigo internazionale girato da Hitchcock nel 1959. Arrivato a New York, Slevin, si trova apparentemente in mezzo ad una guerra fra bande rivali, “gli abbronzati” e “i circoncisi” (come afferma uno dei loschi personaggi invischiati), e non può far altro che cercare una via d’uscita a questa situazione. Patto criminale avvince sin dall’inizio e non delude mai, un film che uscito in sordina, si è poi rivelato una delle opere più solide del panorama noir e a cui McGuigan, autore anche del magnifico Gangster #1, ha saputo restituire brillantezza e dotare di una pregevole manifattura, specie nel convulso e sanguinoso finale.
Slevin prende spunto dalla nuova moda della vendette all’orientale, che negli ultimi tempi ha dilagato grazie a talenti come Park Chan-Wook, conservando però la spettacolarità del cinema americano più raffinato, dunque privo delle sparatorie e delle altre frivolezze tanto care al genere gangster. Attenzione ai particolari e precisione nella narrazione sono il cavallo di battaglia dell’intera vicenda, un cavallo su cui stavolta è facile puntare una volta usciti dalla sala.

“Non sono Nick Fisher…sono solo uno capitato nel posto sbagliato al momento sbagliatissimo”.

SimOne

martedì, settembre 05, 2006

Qualcosa è cambiato?!


Rassegna Cinematografica (Imperdibile!!...data l'organizzazione del sottoscritto Sim1)

21 settembre - 01 ottobre 2006
-- CIRCOLO DEGLI ARTISTI -- ---
[via Casilina Vecchia, 42 - Roma]


PROGRAMMA:

GIOVEDI’ 21/9

Ore 20.30: inaugurazione della rassegna con introduzione di Federico Chiacchieri (Direttore Sentieri Selvaggi) e intervento del regista Gianluca Maria Tavarelli - gli interventi saranno preceduti da un breve estratto da Un mercoledì da leoni di J. Milius (1978)
Ore 21.00: Un Amore di G. M. Tavarelli (1998) 100’
Ore 23.00: per la sezione CORTI La Jetée di C. Marker (1961) 28’


VENERDI 22/09

Ore 20.30: Velvet Goldmine di T. Haynes (1998) 124’
Ore 23.00: Fucking Amal di L. Moodysson (1998) 89’


SABATO 23/09

Ore 20.30: L’insolito caso di Monsieur Hire di P. Leconte (1989) 80’
Ore 23.00: per la sezione CORTI 11’09’’01(Segmento “USA”) di S. Penn (2002) 11’ - tratto da 11’09’’01 di AA. VV.
Ore 23.15: La doppia vita di Veronica di K. Kieslowsky (1991) 98’


VENERDI 29/09

Ore 20.30: introduzione di Demetrio Salvi (Co-Fondatore Sentieri Selvaggi) e intervento del regista Matteo Garrone e dello sceneggiatore Massimo Gaudioso
Ore 21.00: Primo amore di M. Garrone (2003) 100’
Ore 23.00: per la sezione CORTI Vincent (1982) 5’ - proiettato in lingua originale - e Frankenweenie (1984) 25’ di T. Burton - FILM D’ANIMAZIONE; È il grande cocomero, Charlie Brown! di B. Melendez (1966) 25’ - FILM D’ANIMAZIONE


SABATO 30/09

Ore 20.30: Il mago di Oz di V. Fleming (1939) 101’ - versione restaurata e proiettata in lingua originale con sottotitoli in italiano - il film sarà preceduto da un estratto da Cuore Selvaggio di D. Lynch (1989)
Ore 22.30: Arizona Dream di E. Kusturica (1993) 119’


DOMENICA 01/10

Ore 20.30: La cosa di J. Carpenter (1982) 109’
Ore 22.30: Il pianeta selvaggio di R. Laloux (1973) 72’ - FILM D’ANIMAZIONE - il film sarà preceduto da una sequenza animata tratta da Kill Bill Vol. I di Q. Tarantino (2003)

INGRESSO GRATUITO A SOTTOSCRIZIONE...
Per maggiori info http://www.cinemorfosi.splinder.com/

simulescion3

domenica, settembre 03, 2006

MUSICA: John Lennon dentro e oltre i Beatles

I'll get you anything my friend, if it makes you feel alright,
'cause I don't care too much for money, money can't buy me love.
(Can't buy me love, 1964)

I Beatles rappresentano con tutta probabilità uno tra i fenomeni musicali e socio-mediatici più evidenti del secolo scorso. Dal punto di vista musicale lo dimostra senz’altro la cifra di dischi venduta dal quartetto, circa un miliardo…!!, il numero di singoli entrati al primo posto in classifica, lo straordinario impatto delle loro melodie sulle influenze dei musicisti degli anni a venire, ma non solo…
Chiunque, infatti, seppure digiuno di musica, è in grado di ricordare almeno una decina di canzoni dei Beatles, e a trentasei anni dallo scioglimento del gruppo, una loro antologia vende ancora milioni di copie. Hanno rappresentato anche un fenomeno di massa mai più registrato. La Beatlemania, appunto, nasce in considerazione di quel delirio di folla urlante che accompagnava le loro esibizioni, che li attendeva all’aeroporto in occasione delle date mondiali, che faceva ore di fila davanti al negozio in attesa di comprare il loro nuovo disco .., cose che adesso non sono neppure lontanamente immaginabili anche per la più grande rock band del momento. Ogni loro affermazione appena fuori dalle righe riempiva pagine di giornali, un certo taglio di capelli o un determinato tipo di scarpe venivano definiti “alla Beatles”. Insomma, se si pensa ai “mitici” anni 60, sicuramente i Fab Four sono tra le prime cose che vengono in mente. Senza contare che ancora oggi una loro registrazione perduta e miracolosamente recuperata, oppure qualche pagina del diario che qualcuno di loro annotava saltata fuori per caso scatena l’attenzione dei giornali, e, come ovvia conseguenza, dei lettori. Se dal punto di vista musicale, pur essendo stato fondamentale George Harrison e per certi versi necessario Ringo Starr, si può affermare che l’anima del gruppo siano stati congiuntamente Lennon e McCartney, sotto altri aspetti la figura di John Lennon è stata cruciale.
Lennon caratterizzava l’immagine del gruppo anche per tutto ciò che andava al di là dell’ambito meramente musicale. Dotato di una personalità enigmatica, accentuata da un’infanzia non particolarmente serena, e al tempo stesso di una notevole sensibilità, riusciva ad essere unico in ogni sua manifestazione.
Buffo e spesso sarcastico ai limiti dell’irriverenza, basti pensare a molte delle interviste rilasciate anche all’indomani del titolo onorifico che il gruppo ricevette dalla Regina d’Inghilterra (titolo a cui, tra l’altro, Lennon rinunciò qualche anno dopo), era anche autore dei testi più interessanti della loro discografia.
Le sue dichiarazioni spesso lasciavano interdetti i giornalisti, ma a volte i suoi stessi fan. Memorabile la reazione del pubblico ad una delle sue frasi più celebri, quella che affermava che i Beatles erano più famosi di Gesù Cristo. Il Ku Klux Klan minacciò di morte i quattro musicisti, che raccontarono in seguito di avere avuto timore ogni volta che salivano su un palco per esibirsi (per loro stessa ammissione uno tra i tanti motivi per cui smisero di li a poco di fare concerti).Fu effettuata una campagna di boicottaggio della loro musica da parte di alcuni fondamentalisti cristiani e alcuni gruppi di fan bruciarono i loro dischi in strada.La sua spiccata personalità artistica era riscontrabile anche nei mutamenti di indirizzo che la band subì nel corso degli anni, e di cui era più manifesto esponente di quanto non lo fosse il suo alter ego compositivo, Paul. Non è infatti un caso che molti degli esperimenti musicali che poi portarono i Beatles ad una nuova dimensione stilistica, quella della maturità, siano stati dovuti inizialmente a lui. Ma la sua ecletticità nascondeva anche dei lati oscuri. Racconta Paul McCartney che quando, verso la metà degli anni sessanta, si cominciò a parlare degli effetti dell’LSD sulle percezioni sensoriali, Lennon fu il più eccitato dei quattro all’idea di provarli. La stessa decisione di smettere di fare concerti già nel ’66 è da attribuirsi principalmente alle insistenze di Lennon, anche se fortemente appoggiato da Gorge Harrison. E poi, naturalmente, la parola fine sui Beatles. Yoko Ono infatti, seconda moglie di Lennon, è tra le ragioni principali della rottura del gruppo. Ricordano i restanti membri che John non potesse fare a meno della presenza di Yoko, motivo per il quale la stessa partecipava alle prove del gruppo all’interno della sala prove, cosa che non era mai stata permessa a nessuno, e che creava, come gli stessi raccontano, forte attrito tra loro. Almeno un anno prima che McCartney annunciasse lo scioglimento del gruppo, Lennon era entrato in un’ulteriore nuova dimensione, quella che lo portò a rappresentare il simbolo del pacifismo negli anni bui della guerra in Vietnam, e che contribuì, insieme con la tragica e prematura scomparsa, a farne, più di Paul, George e Ringo, un mito oltre il mito.

Saverio (simulescion3)

venerdì, settembre 01, 2006

BASKET: Fine di una credenza


Usa Grecia 95-101
Stati Uniti: la patria del basket.
Fino a dieci anni fa bastava questa definizione per far venire la pelle d'oca agli appassionati seguita da un inspiegabile timore reverenziale, causato con tutta probabilità dalla recente apparizione sulla terra di quegli alieni che componevano il dream team del 92. Ora, 14 anni dopo quell'incredibile Olimpiade, gli Stati Uniti non sanno più vincere. E non vincono da 6 anni ormai. Gli americani sanno benissimo perché perdono, ma da orgogliosi quali sono, non lo ammetteranno mai...e così continueranno a perdere. Perché se coach Krzyzewski ammette che “in campo internazionale abbiamo ancora molto da imparare” e il suo vice D'Antoni non può che assentire, è anche vero che dalle labbra di LeBron James (Lauro..si pronuncia LeBron, non LiBron...e Pau Gasol è spagnolo, non inglese...e Wizards non vuol dire Ribelli..) o da quelle di Dwayne Wade o Carmelo Anthony, cioè i 3 capitani, non è uscita nemmeno mezza parola sull'argomento. Anzi. Anthony ha addirittura ammesso di essere shocked, ma anche che questa “non è la fine del mondo”, che di per se è giustissimo, ma tra le righe si legge tranquillamente “siamo sempre noi i migliori”. E questo invece è sbagliato.Sono si i migliori...ma in America.
Nelle competizioni internazionali contro squadre Fiba, sono forti, non i migliori. Il difetto è la mentalità (poichè chiariamoci: se gli americani fossero meno supponenti e preparassero veramente bene le competizioni internazionali non ce ne sarebbe per nessuno), anche perchè non c'è nessun Jordan nella selezione (checchè se ne dica di Wade…per favore.) e l'unico che poteva da solo risolvere la situazione è rimasto a casa....non faccio nomi. Sarebbe paradossalmente fin troppo facile analizzare gli aspetti tecnici di cui deficitano gli americani, così come è ancora paradossale vedere uno con i mezzi fisici di James o Wade non riuscire a fermare nemmeno con lo sgambetto quei fulmini di velocità dei greci... le basi del basket: allarghi le gambe, abbassi il baricentro, mano sulla palla e scivolamento laterale.Ecco perché persino il Portorico ha segnato 100 punti a questa nazionale!Eppure in NBA gente che difende c'è eccome, solo che essendo perlopiù scarsa in altri ambiti non viene convocata…e intanto la nazionale non è più sul trono del mondo da anni.Secondo chi scrive la via da seguire è una soltanto: convocare tra i migliori coloro che hanno più attitudine per il gioco puro, e più spirito di abnegazione (perchè caro Wade, lo spavaldo lo puoi fare solo quando vinci..) e torneranno a vincere tranquillamente.Per finire ho un paio di sassolini da togliermi dalle scarpe (tranquillo Lauro ne ho anche 4 you):
1- Qualcuno ha spiegato a James che per essere duri non occorre fare soltanto le facce brutte?
2- Ma James non era il profeta, Dio sceso in terra, l'uomo che non si può fermare etc?..mah.
3- Allora è vero che Wade ha comprato i giornalisti per scrivere che il suo tiro dalla media era diventato automatico..
4- Bonamico, non stiamo all'osteria con un grappino in mano...sei sulla Rai, regolati con le scempiaggini.
5- Lauro..Lauro..che dire ormai ? tutto è già stato scritto, tutto è già stato detto..comunque è scevro di ogni dubbio che la Rai se ne freghi della promozione del basket..altrimenti avremmo il buon Bagatta!
Cari lettori scusate l'improfessionalità di questo articolo, ma non avrei mai potuto esprimere degnamente ciò che mi tengo dentro dall'inizio del mondiale senza usare questi toni un po’...coloriti.
Dalla prossima torno nei ranghi.

Scion

mercoledì, agosto 30, 2006

CINEMA: La terra dei (registi) morti viventi

La landa di nessuno che propone il titolo è quella piatta della recente ondata filmica che ha travolto le sale internazionali. Una mareggiata di pellicole senza idee che hanno condotto la crisi cinematografica ad assumere un respiro globale e dove, dispiace doverlo sottolineare, bisogna annoverare un’opera di presunto alto calibro: La terra dei morti viventi di George Andrew Romero. Dal film del leggendario regista degli zombi avremmo preteso non di più, ma proprio tutt’altro lungometraggio. La pellicola dal titolo originale Land of the dead era preannunciata in lavorazione da almeno otto anni e avrebbe dovuto essere il grandioso ritorno del cineasta divenuto cult negli anni ’70 grazie a La notte dei morti viventi, Zombi e Il giorno degli Zombi. L’attesa era cresciuta, le voci che circolavano parlavano di un film maestoso e angosciante, la lotta umana per la sopravvivenza in un mondo dominato dai morti che camminano. Invece….si è rivelato un film insulso, quasi un offesa in ricordo alla precedente trilogia capolavoro. Una trama banale che potrebbe esser stata scritta da qualunque regista horror sulla piazza, con dialoghi al limite del farsesco e action-splatter a dosi massicce, che alla fine suscitano più noia che brividi nel pubblico in sala. La storia narra la vita di una nuova società umana, guidata come nel medioevo da un despota-tiranno (Dennis Hopper), che crede di avere la responsabilità di proteggere la “sua” gente, ghettizzandola. Al di fuori delle barriere protettive, orde di zombi, stanchi di essere divenuti bersagli semi-mobili, sviluppano una capacità comunicativa e una raziocinante lucidità famelica, che li spingerà ad entrare nella città fortificata e mal difesa, dove riusciranno a lottare e a salvarsi solo un variegato manipolo di personaggi (tra cui non spicca l’italiana Asia Argento, figlia di Dario che insieme alle musiche dei Goblin aveva collaborato con Romero per il secondo capitolo della saga), i quali, guidati da un abile ex soldato (Simon Baker), daranno ancora speranza all’umanità devastata. Il film è un continuo rimando alla trilogia che l’ha preceduto, pieno di cliché autoironici che trovano il momento più emozionante nel cameo del sessantenne mago del make-up Tom Savini. I morti viventi, cardine attorno a cui dovrebbe girare la narrazione, assumono l’identità di una nuova “razza”, come un etnia del male che cerca la propria terra promessa, “un posto dove andare” come afferma nell’epilogo il protagonista Riley, perché ora che il mondo è da loro quasi interamente dominato, non sono più solo gli uomini a dover lottare per sopravvivere. La retorica che pervade l’intera pellicola è quella della polemica anti-americana di bassa lega, fiacca e piena di stereotipi classici del cinema dell’orrore, che, funzionano perfettamente in quel tipo d’ingranaggio, ma se accostati al cinema di Romero, specie in prospettiva di un’eventuale seconda trilogia, hanno l’effetto di far rivoltare anche i non-morti nelle loro tombe.

SimOne

domenica, agosto 27, 2006

Sense of humour.. parte 2°

Pensieri istantanei spesso portano a riflessioni, e le riflessioni talvolta portano a scrivere.
La mano ti si muove da sola, e tutto ti appare così chiaro mentre lo scrivi, che sei portato a chiederti da quanto tempo quel pezzo di te abitasse gli antri più reconditi della tua mente..in attesa di uscire. Questo sito/blog, oltre a parlare dei 3 argomenti che sapete, si prefigge anche di dare udienza e visibilità a chi, secondo l'insindacabile giudizio della redazione, è meritante di cotanti privilegi (si fa per dire ovviamente). Alessandro Bagnati alias Johnny (nonfaniente.blogspot.com) non è soltanto un bravo e capace ragazzo, ma è anche, secondo il nostro giudizio, un interessantissimo scrittore di mini racconti, nei quali la sua vena pulp e la cadenza cinematografica sono così ben delineate da far si che la redazione ci si rispecchi perfettamente. AVVERTENZE: si prega di leggere il seguente racconto di un fiato e senza perdersi in pensieri se non quelli che vengono richiamati dal naturale svolgimento del racconto stesso, così ve lo gustate di più.
BUONA VISIONE!

PISTOLA

In vita mia ne ho baciate di bocche, di corpi sudati, caldi, percorsi da brividi come fossero sottoposti ad elettroshock. In realtà non sono una puttana, pur avendo sempre agito su costrizione del mio feroce padrone. Ora, con la mia bocca, sto sfiorando una guancia irta di peli di barba ruvidi al tatto, è la barba di un uomo al contempo spaventato e rassegnato, consapevolezza propria solo di chi sa che la sua morte è vicina e non può far nulla per ritardarne il momento. Nonostante ciò, quell'uomo sprigiona ancora energia, calore epidermico; me ne accorgo soprattutto ora che il mio corpo è ancora freddo come può essere un pezzo di metallo limato. E' buffo: ogni volta che mi piazzano i proiettili nello stomaco dovrei provare un certo solletico, ma ora niente; non riesco ad avere alcuna reazione. Prima, anni fa, ogni volta che sentivo esplodere dal mio ventre la pallottola che poi vomitavo alla velocità della luce sulla faccia di qualcuno, provavo una certa emozione: tra la reazione fisica del passaggio da freddo a infuocato e i complimenti che biascicava il capo mentre mi soffiava sulle labbra fumanti, credevo di aver compiuto un gesto nobile. Ora non è più così: non riesco a non rendermi conto di essere un arnese che reca dolore, apre ferite, causa morte. E da quando ho appreso il mio triste compito non posso più rallegrarmi. Dannato bruto: ogni volta che ti congratuli con me per esserti stata fedele per l'ennesima volta, il sussurro delle parole che escono dalle tue luride corde vocali, le stesse identiche parole di sempre che un tempo mi facevano sentire importante, fa ardere in me la voglia di essere gettata in un fiume. Bang. "Brava, Wessy!"Man mano che mi avvicino all'uomo seduto sulla sedia di legno alla quale sono saldamente legati mani e piedi il suo sguardo si fa sempre più dilatato, il respiro diventa più profondo e ritmato da violente inspirazioni ed espirazioni, che forse sono il riflesso incondizionato di chi vuole incamerare per l'ultima volta la preziosa risorsa chiamata aria. Stavolta non voglio che vada a finire come le altre. Devo oppormi, devo fermarlo, devo salvare questa vita umana. Devo, devo, devo. Ma non posso. Il copione è lo stesso. Bang. "Brava, Wessy."La mia vita è questa e non riuscirò a cambiarla.

Non fa niente.

simulescion3

sabato, agosto 26, 2006

Sense of humour..

Shark Attack 3 - Megalodon (2002)
Quando il cinema di tendenza incrocia l’intrattenimento non sempre i risultati sono ottimali. Subentra l’incanto della trasgressione e la seduzione tipica della sciatteria. Ecco che l’arte sublima in volgarità, il trash prende il sopravvento e chi si ritrova di fronte allo schermo non può far altro che rimirare tale orribil orpello audiovisivo. La zona che ruota attorno ai D-Movie (cinema spazzatura) è terra di nessuno, un tedioso angolo di nulla in cui ci si può imbattere, nella bella mostra dei supermercati che tra cianfrusaglie varie vendono questo scorcio di triste “realtà” all’esagerata cifra di 1 euro a confezione.
Noi ve ne raccontiamo uno stralcio, tratto da quell’immaginifico sito che è terrormetal.it, a cura del nostro insano amico Paolo…


Volete sapere come può un regista creare un film semplicemente rubando filmati riguardanti gli squali alla National Geographic? Allora dovete assolutamente vedere il miracoloso nonché miracolato: “Shark Attack 3…Emergenza Squali” (regia di David Worth).Una premessa è d’obbligo: nessuno qui vuole fare il purista del cinema e lungi da me voler ricercare una morale in ogni pellicola, ma qui si esagera. Partendo dal presupposto che dopo lo squalo di Spielberg, ogni tentativo di film riuscito con tale soggetto è quantomeno vano, il nostro non tenta nemmeno di conservare una qualsivoglia dignità.Certo, questo ne fa un capolavoro di demenza rendendolo quanto meno godibile ma alcuni dettagli vanno sottolineati per rendervi partecipi del disastro cinematografico.Primo: gli squali bianchi, e dio vi abbia in grazia per questo, non emettono suoni neanche se gli piazzi una bomba a campanacci nello stomaco. Cosa fa invece il nostro eroe? Non solo emette suoni, ma ne emette di orribili. Sembra un leone marino in andropausa con evidenti problemi intestinali.Secondo (e qui c’è del genio): perché considerando le infinite conoscenze hollywoodiane in materia di effetti speciali, per ingigantire uno squalo, si ricorre alla sovrapposizione di figure rimpicciolite sullo stesso? Inoltre un Megalodon (squalo preistorico di una ventina di metri) non è semplicemente uno squalo bianco ingrandito. Ci sarà qualche differenza o no? La risposta è tristemente si.Terzo e ultimo dettaglio (e qui il genio è manifesto): per quale motivo uno squalo, pur gigante, e vi assicuro che mentre scrivo non riesco a non pensare alla scena assurda, dovrebbe ingurgitare un panfilo di discrete dimensioni per intero? No, perché un motivo plausibile non c’è, e noi spettatori attoniti non possiamo far altro che prenderne atto. Insomma, capirete ben presto da dove sono venuti fuori questi squali preistorici e non è neanche necessario delineare un minimo di trama, essendo riassunta esaurientemente nei tre punti sopra citati. Il problema è questo: come potremo da oggi in poi affrontare la lunga traversata mediterranea che separa la Sardegna da Civitavecchia, senza essere dominati dalla sensazione che da un momento all’altro uno squalo gigante di rara stupidità inghiottirà il nostro traghetto senza masticarlo?
Le soluzioni sono due: o evitate di andare in Sardegna via mare…oppure, ipotesi ben più seducente, evitate di vedere questo film.

A voi la scelta.

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