lunedì, luglio 03, 2006

CINEMA: Day zero, L'amore sospetto




Inizio, Luglio 2006.

Prima pagina di un sito che intende toccare le tematiche più energetiche ed attuali di tre particolari lati dell'intrattenimento.
A cura di SimOne e Scion...





Prova iniziale con la recensione di un film da poco uscito nelle sale:



L'amore sospetto (La moustache)

La mente umana è avvolta dal mistero. Insidiosa e imperscrutabile ammalia e spaventa chi non è in grado di spiegarla. Ma chi lo è? Chi riesce a darle un significato concreto che trascenda dalla sua espressione cinematografica? Una larga parte del cinema francese ha scelto di raccontare questa realtà dal potenziale sconfinato, ci mostra quanto sono intricati i nodi che si possono affacciare in chi guarda e osserva. La moustache appartiene proprio a questo filone, tradotto (ormai sempre più) banalmente come L’amore sospetto, sconfina nel limbo dell’inconsapevolezza e della follia partorita da una mente disturbata. La seconda regia dello scrittore Emmanuel Carrere (ispirata a un suo libro), vincitrice della Quinzane a Cannes, è un’opera affascinante quanto incompleta, che parte bene per poi perdersi in una regia spesso fuorviante ed evanescente, riferimento alla netta distinzione tra una sintomatica prima parte parigina ed una onirica in quel di Hong Kong. Carrere vorrebbe esplorare l’abisso che si cela dietro la normalità, le certezze che divengono timori, il progressivo abbandono della sanità mentale. E lo fa mettendo in scena due figure distinte, l’affabile Marc, Vincent Lindon, e sua moglie, un’inquietante Emmanuelle Devos. Il primo dopo tanti anni decide di tagliarsi i baffi, ma nessuno si accorge del cambiamento, anzi, tutti quanti, compresa la consorte, affermano che lui i baffi non li ha mai portati. La progressiva degenerazione di tale suspence è l’espediente che serve all’autore per esprimere il proprio personalissimo movente, che però risulta astratto e tedioso, rispondendo difficilmente ai numerosi quesiti che il film pone e che lascia aperti. L’amore sospetto, utilizzando la paranoia come motore d’azione anche nei momenti più silenti, vuole appositamente fornire poche risposte, spiazzando il pubblico, sedotto e lasciato di fronte al tema principale in mancanza di spiegazioni. La coppia d’interpreti risulta molto affiatata, ma questo non basta a salvare il tono di un film che fa della sua non conclusione l’anello debole di tutto il plot. Le chiavi di lettura sono molteplici, l’impossibilità di accettare il cambiamento, la perdita di sé come unica speranza di recupero, persino il sogno/incubo come tentativo di immaginarsi una vita diversa (ma quanto migliore??). Se frolliamo il tutto in un unico calderone vediamo che l’intero impianto narrativo non può sorreggere una struttura mancante, una storia che sì, affronta il tema della progressiva perdita di fiducia nel rapporto di coppia, ma che mostra poco o niente per forgiare in noi l’idea di quella follia flirtata quale ossessione del nulla, disordine e ordine che appartengono solo inconsciamente ad un caos della psiche. Il concerto per violino di Philip Glass ipnotico ed evocativo, accompagnando tutta la narrazione, svolge un ruolo fondamentale nella costruzione dell’atmosfera di un film che rimane sospeso tra sogno e realtà. Ciò che invece non viene sfruttato appieno è la buona idea di partenza, lasciando lo spettatore con la certezza di aver assistito ad un progetto autoriale legittimo ma non ben delineato, un’opera che per l’enfasi di quello che vuol raccontare finisce col limitarsi ai meravigliosi scorci delle due metropoli in cui è ambientata.

SimOne

3 commenti:

Anonimo ha detto...

...Pienamente d'accordo con la recensione mi sento pero' di aggiungere ke nel complesso l'idea del film e' tutto sommato interessante...peccato davvero per il finale,davvero confuso e patetico...Edoardo.
Ps:grande SimOne...recensione perfetta in ogni sua parola...

Anonimo ha detto...

L'impossibilità nel rispondere alle innumerevoli domande poste dalla mente umana...è questa a mio avviso la chiave di film...l'impiego di tutte le sue forze, fisiche e psichiche, non aiuta il protagonista a districarsi nella ricerca della verità...utopica e parziale per ogni uomo...ed ecco che l'arrendersi di Mark diventa l'epilogo della vicenda, fine tanto triste quanto indispensabile...

Un inchino al Doc :)

Livia

Anonimo ha detto...

A mio parere l'anonimo coglie un aspetto rilevante nei meccanismi che sottendono la genesi e lo sviluppo di neorealtà paranoidee; arrendersi è, forse, l'unico modo per tornare nel mondo delle relazioni. Quello che può risultare veramente triste,soprattutto agli occhi di un giovane, è il dover relativizzare la certezza delle proprie percezioni e della verità assoluta. Altro aspetto, forse da approfondire, potrebbe essere quello della comunicazione all'interno della coppia. Complimenti, continuate così!