mercoledì, novembre 01, 2006

The Darkness: searchin' for the lightness


Come molte volte succede nel mondo della musica, il secondo album è il più difficile da far accettare a critica e pubblico.
non sai cosa vuoi creare e qualora tu lo sappia non sai se piacerà o meno...Allora ci sono due strade da seguire:
o si segue la tendenza e si fa quel che si aspetta il pubblico (c'è chi ci ha costruito una carriera, vedi Luis Veronica Ciccone) o si dichiara il proprio menefreghismo attraverso un album magari orribile, ma esattamente fedele a quel che si voleva realizzare.
Come molte volte accade nella vita , in medio veritas, e i Darkness hanno dimostrato di conoscere questo detto abbastanza bene.
Oddio, sicuramente il loro secondo album non è un capolavoro, a livello di hit è sicuramente inferiore al primo e la ricerca di una classe che ancora non risulta naturale li ha portati forse ad eccedere in particolari e virtuosismi- compreso il particolare molto memorabilia di utilizzare il pianoforte dove Freddie Mercury incise Bohemian Rhapsody.
Questo non vuol dire che non sia un buon album.
Ci sono molte cose da considerare quando si ascolta un album, ed uno degli aspetti -tecnici- che sicuramente non si trascura è la produzione. Dicesi produzione ciò che, se usato in maniera oculata, può portare all’eccelso musicare nell’olimpo dei musicandi – vedi Brian Eno per U2 - .
Questa è stata una buona produzione, il suono è pulito anche nei pezzi più heavy, e anche se si eccede con le armonie di falsetto di Justin Sniff Hawkins il totale è di un album assemblato bene.
Il primo ha suscitato tanto clamore perché:
1- Era il primo..
2- Perché accontentava i puristi del rock con il solito sferragliare pressapochista ma anche i qualunquisti melodici con 5 hit di facile ascolto tra cui I believe in a thing called love e Friday night.
3- Chi erano questi col cantante in tutina?

Affinare però non vuol dire snaturare, per usare più strumenti mantenendo intatta l’intenzione della canzone bisogna saperli suonare, non assoldare strumentisti, se non per collaborazioni conclamate; infatti i beneamati Queen a cui erroneamente vengono accostati – je piacerebbe come dicono a Roma – non rischiavano di incappare nell’errore di eccesso di .. “classe” poiché loro stessi erano la classe! Brian May suonava si la chitarra, ma suonava anche il piano, il benjo, l’ukulele -…..- e l’arpa ( ! ) solo per citarne alcuni, e gli altri membri dei Queen idem.
Ora, se il primo album aveva quel percorso, bisognava seguirne le orme e lasciare un’impronta sempre più profonda…non deviare verso l’erbetta soffice.
Almeno secondo me. Per affinarsi c’è sempre tempo.
E per riprendersi anche, lo si dica a Justin, che in clinica di disintossicazione ha stretto amicizia con il fidanzato della Moss Pete Doherty – mi rifiuto di chiamarlo musicista -, non occorre sniffare per sentirsi una rockstar!!!
Scion

2 commenti:

Anonimo ha detto...

...conta soprattutto saper scriver e suonare buona musica!

SimOne

Anonimo ha detto...

Come il mitico e immarcescibile luca dirisio