Il ruolo del male nella contemporaneità filmica
La contemporaneità cinematografica sta vivendo un momento di transizione. Al di là dei numerosi progetti che la filmografia occidentale considera in fase lavorativa, è innegabile che la crisi d’incassi dell’ultima stagione ha lasciato sbalorditi gli addetti ai lavori e l’Industria in generale. La mancanza d’idee e la pochezza dei contenuti sulla base di una apporto qualità-quantità ha disaffezionato il pubblico internazionale, diminuendo anche la semplice voglia di entrare in sala e pagare per quello che ritiene sempre meno uno spettacolo. Questo è dovuto anche all’espressione moderna dei molteplici generi cinematografici, in cui lo spettatore ripone l’interesse, che spesso viene disatteso da grandi e piccole major e riposto solo nelle cosiddette produzioni indipendenti. Negli ultimi anni ha preso piede la necessità di raccontare un certo tipo di tematica, la volontà di esporre agli occhi dell’opinione pubblica la rappresentazione del «male», inteso come riflesso condizionato delle nostre società ed il ruolo che è stato assunto appare quello dell’ espressione di una cinematografia condivisa, non eccessiva o fuorviante, bensì costruttiva anche nelle sue scene più spettacolari. Ciò che in questa sede si vuole venire a dimostrare è la concreta possibilità che le persone, specie in una fascia d’età in profondo mutamento come sono gli anni della post-adolescenza, traggano giovamento visivo e terminazione delle proprie tensioni sociali nell’immaginario di un cinema che pone, come detto, le sue radici in una cultura dell’inumanità intesa come oggetto parossistico e fumettistico della riflessione sociale. E ciò, che non deve essere necessariamente considerato un bene, è comunque un dato di fatto che s’impone all’attenzione socio-semiotica della contemporaneità. Questo va di pari passo con l’effettiva ammirazione che tali prodotti di celluloide assumono per coloro che li osservano da un punto di vista artistico e di estrema creatività. Si ricorre ad un tema preciso, nello specifico, al cinema pulp e alla rappresentazione del male, per allontanarli dalla vita comune. Come ammonimento alla strada sbagliata da non dovere percorrere. Letto in quest’analisi, ecco spiegato il motivo del successo planetario, che, a cavallo del nuovo millennio dominato da una fase di insicurezza e instabilità politica globale, porta il pubblico a ricercare nella violenza “mediatica” la risposta salvifica ai propri timori.
La contemporaneità cinematografica sta vivendo un momento di transizione. Al di là dei numerosi progetti che la filmografia occidentale considera in fase lavorativa, è innegabile che la crisi d’incassi dell’ultima stagione ha lasciato sbalorditi gli addetti ai lavori e l’Industria in generale. La mancanza d’idee e la pochezza dei contenuti sulla base di una apporto qualità-quantità ha disaffezionato il pubblico internazionale, diminuendo anche la semplice voglia di entrare in sala e pagare per quello che ritiene sempre meno uno spettacolo. Questo è dovuto anche all’espressione moderna dei molteplici generi cinematografici, in cui lo spettatore ripone l’interesse, che spesso viene disatteso da grandi e piccole major e riposto solo nelle cosiddette produzioni indipendenti. Negli ultimi anni ha preso piede la necessità di raccontare un certo tipo di tematica, la volontà di esporre agli occhi dell’opinione pubblica la rappresentazione del «male», inteso come riflesso condizionato delle nostre società ed il ruolo che è stato assunto appare quello dell’ espressione di una cinematografia condivisa, non eccessiva o fuorviante, bensì costruttiva anche nelle sue scene più spettacolari. Ciò che in questa sede si vuole venire a dimostrare è la concreta possibilità che le persone, specie in una fascia d’età in profondo mutamento come sono gli anni della post-adolescenza, traggano giovamento visivo e terminazione delle proprie tensioni sociali nell’immaginario di un cinema che pone, come detto, le sue radici in una cultura dell’inumanità intesa come oggetto parossistico e fumettistico della riflessione sociale. E ciò, che non deve essere necessariamente considerato un bene, è comunque un dato di fatto che s’impone all’attenzione socio-semiotica della contemporaneità. Questo va di pari passo con l’effettiva ammirazione che tali prodotti di celluloide assumono per coloro che li osservano da un punto di vista artistico e di estrema creatività. Si ricorre ad un tema preciso, nello specifico, al cinema pulp e alla rappresentazione del male, per allontanarli dalla vita comune. Come ammonimento alla strada sbagliata da non dovere percorrere. Letto in quest’analisi, ecco spiegato il motivo del successo planetario, che, a cavallo del nuovo millennio dominato da una fase di insicurezza e instabilità politica globale, porta il pubblico a ricercare nella violenza “mediatica” la risposta salvifica ai propri timori.
Un esempio di cinema pulp? Ricco di sangue, violenza ed ironia.
SimOne